Vasto e le sue questioni ambientali irrisolte: scelte mai chiare, decenni persi

Nella roulette dei corsi e ricorsi storici di Vasto, la pallina torna spesso a fermarsi sulla casella delle questioni ambientali. Una ruota che gira per tornare al punto di partenza delle scelte sempre rimandate o, comunque, mai definitive. L’ultimo problema in ordine di tempo è il taglio preventivato di 86 alberi nella Riserva naturale Marina di Vasto: le associazioni ecologiste diffidano il Comune [LEGGI] e l’amministrazione comunale risponde che lo fa per l’incolumità delle persone [LEGGI]. Ma la difficile coesistenza tra ambiente ed economia è un problema che nasce molto prima.

Il promontorio di Punta d’Erce

CONVIVENZE DIFFICILI – «Se non ci fosse stata la zona industriale di Punta Penna a scoraggiare la cementificazione del vicino tratto di costa, ora la Riserva naturale di Punta Aderci non esisterebbe». E inoltre: «Senza il porto e il conseguente accumulo progressivo di sabbia, la spiaggia di Punta Penna non sarebbe diventata quello che è». Sono le frasi che abbiamo sentito per anni. Paradossalmente sono stati proprio il porto e la zona industriale a “preservare” quel tratto di costa. Lo spartiacque fu il molo di ponente: dagli anni Sessanta, quando fu costruito, la sabbia iniziò a depositarsi all’esterno di quel braccio di cemento, trasformando ciò che, mezzo secolo fa, era una piccola striscia di arenile nell’ampia spiaggia di Punta Penna, oggi spettacolo della natura che accoglie i bagnanti all’ingresso della Riserva. Area verde e zona industriale sono troppo vicine e, per questo, rendono complicata qualsiasi scelta di programmazione urbanistica ed economica.

E poi c’è la questione ampliamento del porto. Un secondo bacino da costruire in continuità con quello esistente. Se ne parla dal 2007. Costo preventivato 15 anni fa: 145 milioni di euro. Quindici anni, tanti quanti ne sono trascorsi dal primo annuncio del cosiddetto ultimo miglio ferroviario, che significa portare la strada ferrata fino al molo di levante scavando una galleria sotto il costone di Punta Penna. Il tutto a un centinaio di metri dalla spiaggia e con l’obiettivo di incrementare i traffici commerciali. Irritante come fumo negli occhi per gli ambientalisti, secondo cui non aumenterà solo il trasporto su rotaia, ma anche quello su gomma, con tutte le conseguenze in termini di inquinamento atmosferico. Una coabitazione, quella tra aziende e parco naturale, già fonte aspre polemiche e cortei nel recente passato. Ferma restando l’imprescindibile tutela dei posti di lavoro e delle attività produttive esistenti, la politica ha sempre deciso di non decidere. Puramente teoriche le ipotesi di delocalizzazione delle industrie, mai sostenuta da reale volontà politica né dalla disponbilità di fondi. Con gli imprenditori che, periodicamente, sentono aria di deindustrializzazione.

LAVORO OGGI E DOMANI – Se si vuole dare un futuro alla città, fermare l’emigrazione giovanile e cercare un’alternativa all’attuale fragilità del sistema produttivo, alle ambasce delle attività commerciali e al massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, serve una scelta chiara. Una scelta di programmazione. Se è davvero il turismo l’obiettivo e il patrimonio paesaggistico è il tesoro da tutelare e mostrare ai turisti, allora va trovato il giusto compromesso tra protezione ambientale e vacanze. Senza alimentare posizioni esclusivamente ideologiche né mortificare le istanze di nessuno, ecologisti, imprese e lavoratori. Con lo scopo di attirare sulla Costa dei trabocchi almeno una fetta di quei vacanzieri che, spesso, qui si limitano a transitare e a trascorrere una o due notti per poi proseguire verso le più rinomate località pugliesi. E pensando, una volta per tutte, che non ci si può affidare solo ai futuri grandi insediamenti o alle zone economiche speciali. Ma a un’idea di futuro che parta dall’identità del territorio.

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