Crisi automotive, alla Pilkington necessarie ulteriori fermate

La Pilkington ancora a scarti ridotti. Quella che doveva essere una sola settimana di stop non è sufficiente per ammortizzare le difficoltà della fabbrica della multinazionale giapponese.
I venti di crisi spiravano già prima della pandemia. Ai problemi causati dal Covid, poi, si è aggiunta la crisi della componentistica, ora si sentono le conseguenze del conflitto innescato dalla Russia. Molte case automobilistiche tedesche, per cui lo stabilimento sansalvese produce i vetri, si riforniscono di semilavorati plastici prodotti in aziende ucraine. La guerra ha interrotto la fornitura rallentando così le attività. 

Il 18 marzo scorso le rsu si sono incontrate con la direzione aziendale per prorogare il piano delle fermate. In alcuni reparti si tornerà al lavoro il 28 marzo, per altri (come quelli del Tgh) se ne riparlerà addirittura nei primi giorni di aprile. Il piano potrebbe subire ulteriori modifiche in base alle richieste delle case automobilistiche.

Le fermate non sono causate dall’aumento dei costi energetici che pure rischia di lasciare pesanti strascichi. La Pilkington infatti, a differenza di altre realtà, non può spegnere i forni: farlo significherebbe decretarne la fine. Tale criticità si era già vissuta durante il lockdown quando i due forni float produssero “a vuoto” vetro da rottamare per non essere spenti. Già a inizio febbraio l’azienda accusava rincari di 6-7 milioni di euro al mese per l’approvvigionamento energetico, ora la bolletta – il processo produttivo richiede una grande quantità di metano – è ancora più salata.

Il nuovo piano delle fermate si tradurrà per i lavoratori in una busta paga ancora più leggera: la copertura retributiva avverrà attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, in particolar modo ai contratti di solidarietà.

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