Continua il lavoro di Chiaro Quotidiano con il suo Dossier occupazione con cui, attraverso dati statistici, inchieste ed interviste, si pone come obiettivo quello di tracciare un quadro della situazione impiegatizia del Vastese. Facendo un focus sui più giovani, e in particolar modo sugli studenti universitari del territorio, abbiamo intervistato due universitarie, Maria Elena Pacilli e Chiara Pierri, studentesse sansalvesi rispettivamente nelle città di Parma e di Pisa.
Qual è il tuo percorso di studi e perchè hai scelto questa città come sede universitaria?
Maria Elena: «Sono una studentessa magistrale in Biotecnologie. Ho scelto questo percorso di laurea perchè fin dalle scuole medie, e proseguendo poi con il liceo scientifico, le materie scientifiche come la chimica e la biologia erano quelle per cui ero più portata, e che soprattutto più mi interessavano. Inoltre, penso che questo titolo di studio possa portare a degli ottimi sbocchi lavorativi. La città di Parma è stata scelta perchè cercavo una città che non fosse troppo grande, come Roma o Milano, ma che comunque potesse darmi nuovi stimoli. Motivazione fondamentale è stato poi il percorso formativo offerto dall’università: è stato quello che ho ritenuto più interessante.»
Chiara: «Sono una studentessa magistrale in Ingegneria biomedica, con il curriculum di tecnologie biomediche. Ciò che mi ha spinto verso questa direzione di studi è stato il desiderio di aiutare il prossimo. Non sentendomi portata per fare il medico, ho optato per ingegneria biomedica: una tipologia di studi che in futuro mi potrà permette di migliorare la vita di molte persone. La scelta della città di Pisa è ricaduta solo per una questione di percorso formativo: a mio avviso il migliore se confrontato con le altre università. Avrei preferito la città di Bologna, sia per vicinanza che per comodità nei trasporti, e anche perchè lì c’era già mio fratello, anche lui studente, ma il piano di studi non mi ha entusiasmato quanto quello di Pisa.»
Da questa prima domanda, e dalle relative risposte, possiamo notare come, nella scelta della propria sede universitaria, la qualità dello studio offerta dall’ateneo sia un fattore rilevante.
Hai già idea di cosa vorresti fare terminato il tuo percorso universitario?
Maria Elena: «Una volta terminato il mio percorso di studi, sono indecisa se intraprendere un dottorato di ricerca oppure entrare direttamente nel mondo del lavoro. Se decidessi di entrare nel mondo del lavoro, accetterei qualsiasi posto purché attinente al mio titolo di studio: da un’azienda alimentare a una farmaceutica, dal laboratorio alla ricerca. Iniziando a lavorare credo che mi sarà poi anche più facile comprendere quale aspetto del mio lavoro mi interessa di più e cosa vorrò fare in futuro.»
Chiara: «Non ho un’idea ben definita del mio futuro all’infuori dell’università. O meglio, mi piacerebbe fare carriera nell’ambito della ricerca e dello sviluppo dell’ingegneria biomedica, ma in Italia sono veramente poche le aziende che hanno questo settore di lavoro sul suolo nazionale. Molte aziende, seppur italiane, delocalizzano il settore della ricerca e dello sviluppo all’estero. Questa è una cosa che mi mette alquanto in difficoltà, ma sulla quale, al momento, non ho ancora ben ragionato.»
In questa seconda risposta alla nostra domanda è uscito fuori un problema molto rilevante a livello nazionale: la cosiddetta “fuga dei cervelli”. Le università italiane, molto spesso tra le migliori al mondo, “sfornano” ogni anno menti brillanti, ma che poi non trovano un adeguato riconoscimento sul territorio nazionale o, come nel caso di Chiara, l’ambito lavorativo per il quale si studia, non è valorizzato in Italia o viene delocalizzato all’estero, costringendo molti giovani a lasciare il nostro Paese.
Vorresti tornare nella tua città o, più in generale, in Abruzzo una volta ultimato il tuo percorso universitario?
Maria Elena: «Certamente non all’inizio. Già da ora sento la necessità di dover fare esperienza, e nel nord Italia ci sono delle realtà molto importanti alle quali ambisco, cosa che invece non sarebbe possibile fare nel nostro territorio. Le opportunità nel Vastese, soprattutto nel mio campo, scarseggiano.
In futuro, dopo aver accumulato molti anni di esperienza, e se mai dovesse presentarsi un’importante opportunità lavorativa nella mia città o in zone limitrofe, potrei pensare di tornare.»
Chiara: «Purtroppo il mio ambito lavorativo e già molto ridotto in Italia, ed è completamente assente nel nostro territorio. Mi piacerebbe tornare “a casa”, perchè sono molto legata alla mia famiglia e alla mia città; ma anche se trovassi lavoro, cosa ha da offrirmi il nostro territorio?
E in questo momento non parlo solo di lavoro, ma in generale di stimoli e di qualità della vita.
Io purtroppo non sento né che la mia città mi offra delle opportunità lavorative, né che mi invogli a tornare, soprattutto da un punto di vista culturale, sociale e ricreativo.
Non sento che il nostro territorio inviti i giovani, dopo l’università, a tornare.»
Due risposte, queste ultime, diverse, ma al contempo simili: nessuna delle due ragazze prospetta un ritorno imminente nel Vastese. Nel primo caso il motivo è implicito, nel secondo è più esplicito: il nostro territorio non offre un’adeguata qualità del lavoro, ma anche della vita, per un giovane, soprattutto se laureato.
Non c’è da sorprendersi però: nel precedente articolo di Dossier lavoro (leggi qui) abbiamo visto, attraverso i dati del centro per l’impiego, come le figure più ricercate sono quelle per la ristorazione, per l’assistenza alla persona, nel settore delle pulizie, soprattutto per molti B&B, e nelle ultime settimane anche nell’edilizia e nel comparto industriale, in particolare dal metalmeccanico.
Quali opportunità offre il nostro territorio ad un giovane laureato? Perchè un ragazzo o una ragazza che è stato fuori per almeno cinque anni, vivendo e scoprendo una realtà in alcuni casi ben diversa da quella locale, dovrebbe essere invogliato a tornare nel nostro territorio?
Questo non è un problema da sottovalutare: l’assenza di attività, di impieghi e di posti di lavoro per giovani laureati, a lungo andare, comporterà un notevole abbassamento culturale del territorio. La fuga dei cervelli, non è solo un problema nazionale, ma è anche e soprattutto un problema locale, che va adeguatamente affrontato: un territorio che vuole crescere non può permettersi di perdere giovani menti.
Non siamo capaci di aprire un Ateneo Universitario, con il PNRR ne uscirebbero due se non tre in una cittadina storico culturale qual’è la Terra d’eure…intrinseca di beni culturali artistici e religiosi, pensate pensate a tagliare gli arbusti INCAPACI !!!!!
La vicina Termoli ha un Ateneo per il Turismo…noi nell’ospedale San Pio….rido per non piangere !!!!!
Nessuno che abbia mai nominato la parola Ateneo Universitario ….mi vengono i brividi, pensate pensate a sperperare denaro con il nuovo ospedale che ormai da trent’anni in progetto lo vedremo tra altrett’anti..