Tradizione le cui radici si perdono nella notte dei tempi e che oggi, dopo due anni di pandemia, rivivono rappresentando importanti occasioni di aggregazione e condivisione. Parliamo dei cosiddetti riti del fuoco: farchie, faugni, ’ndocce che, in gran parte dei casi, si accendono nella serata della vigilia di Natale, ma che più genericamente abbracciano il periodo dal solstizio d’inverno ai primi giorni di gennaio.
Come detto, l’accensione dei fuochi è da collocare tra i riti propiziatori che anticamente, in epoca pre-cristiana, segnavano l’arrivo del “tempo della rinascita”, della stagione del risveglio (con i giorni che ricominciano ad allungarsi) del sole.
«Questi momenti erano legati alla celebrazione del Sol Invictus, il sole invincibile – ci spiega Ernano Marcovecchio, storico e sindaco di Tufillo – Sono riti che risalgono a un periodo in cui tutta la vita dell’uomo era legata ai cicli naturali e gli elementi della natura erano divinità da propiziare con doni». Tali culti sono stati tramandati per secoli resistendo all’avvento del cristianesimo quando hanno assunto un altro significato: la luce che sconfigge le tenebre con la nascita di Gesù e il fuoco che viene acceso per scaldare il bambinello, «si tratta di sincretismo, cioè più fenomeni culturali o religiosi che si compenetrano».
TUFILLO
Tradizioni così longeve, diffuse un po’ ovunque, hanno inevitabilmente preso declinazioni locali differenziandosi nella forma ma non nella sostanza. A Tufillo, ad esempio, la farchia è singola e di dimensioni maggiori rispetto ad altre località, inoltre non è composta da fasci di canne, ma si tratta di un grosso tronco, con la parte finale a tre diramazioni, attorno al quale si legano altri spessi rami. Il manufatto viene assemblato dinanzi alla chiesa di San Vito (nelle foto di Marcella Marino), la notte della Vigilia decine di fedeli la trasportano nelle stradine del centro storico con l’obiettivo di arrivare a mezzanotte davanti alla chiesa di Santa Giusta.
La tradizione voleva, inoltre, che durante il passaggio davanti alle abitazioni, i compaesani offrissero dolci, vino ecc. ai volontari. In passato, inoltre, la farchia arrivata a destinazione veniva posta in piedi, ma, dopo uno spiacevole incidente, oggi viene lasciata ardere distesa. Da qualche anno, viene realizzata una seconda farchia in “versione ridotta” per coinvolgere in questa antica trazione anche i più piccoli.
SCHIAVI D’ABRUZZO E CASTIGLIONE MESSER MARINO
A Schiavi d’Abruzzo, da qualche anno il Centro Italico Safinim ha riportato in vita la tradizione con “La notte delle farchie”. «In origine – spiega Marco Cirulli della citata associazione e del Centro Studi Alto Vastese e Valle del Trigno – erano le famiglie ad accendere le farchie (cataste di rami e canne donati dai cittadini) davanti alle proprie case in campagna nel tardo pomeriggio del 24 dicembre. Oggi rievochiamo quelle usanze accendendone tre in paese».
L’evento è frutto della collaborazione con il Comune, la parrocchia di San Maurizio Martire e il Campo di Tiro “Auro D’Alba” e prevede l’accensione della prima farchia alle 17 in piazza Caduti d’Ungheria. Alle 18 il corteo con i bambini del paese raggiungerà piazza Purgatorio per l’accensione della grande farchia. Alle 22:30, infine, prima della messa celebrata dal parroco don Antonio Di Palma, l’accensione della farchia nella piazza della chiesa di San Maurizio Martire.
A Castiglione Messer Marino la catasta che sarà bruciata prende il nome di ’ndoccia (richiamando la ’ndocciata di Agnone che però assume ancora un’altra forma con lo storico corteo infuocato). Qui le ’ndocce vengono allestite nei quartieri principali usando soprattutto le ginestre in aggiunta ai rami secc. «In passato – racconta Sara Franceschelli, consigliere comunale – i focolai venivano accesi davanti a ogni casa ne tardo pomeriggio per poi andare a messa. Ci si scalda intorno al fuoco e ogni associazione prepara qualcosa (vin brulè ecc.)». Di recente, l’accensione è accompagnata anche da fuochi pirotecnici.
FRAINE
“Farchie” anche in un altro comune dell’Alto Vastese, Fraine, seppur con piccole variazioni sul tema. Qui non sono cataste di legno, ma fasci di canne poste su un trespolo e posizionate lungo il perimetro di largo Santa Maria dove, alle 17, vengono accese. La tradizione è tenuta viva dalla Pro Loco «come testimonianza da tramandare alle nuove generazioni e che vuole essere una proposta per salvare le tracce del tempo e della cultura del nostro paese, per non dimenticare le nostre origini e da dove veniamo», spiega il presidente Giacomo Di Pasquale.
SAN SALVO
Ancora l’ancestrale fuoco nei giorni del solstizio d’inverno, ma con un altro significato pur sempre legato alla cristianità. A San Salvo il 20 dicembre rivive il Fuoco di San Tommaso: una grande catasta di legno viene fatta ardere in piazza San Vitale.
Il rito è legato all’arrivo in città delle reliquie di San Vitale martire (santo patrono) provenienti da Roma e donate dal Cardinale Carafa. Nella notte tra il 20 e 21 dicembre del 1745 una staffetta portò la notizia dell’imminente arrivo delle reliquie così la popolazione, al suono delle campane, si radunò accendendo un grande falò in attesa. La tradizione si è rinnovata qualche giorno fa arricchendosi anche della rievocazione dell’arrivo con un corteo in abiti storici.
Quelle citate sono solo alcune delle località tra Abruzzo e Molise che continuano a tramandare tali usanze. Tra le altre va sicuramente annoverata Atri (Teramo) che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre accende gli altissimi faugni. È una suggestiva rievocazione che risale all’epoca preromana «quando la città era la capitale del Piceno del Sud e le feste di fuochi in onore di Fauno, antica divinità pagana associata alla fertilità della terra, erano organizzate in segno di purificazione e di buon auspicio per l’attività contadina», spiegano gli organizzatori.
Tradizioni oggi vissute sicuramente con spirito diverso e modernizzatesi dando, in alcuni casi, maggiore spazio alla spettacolarizzazione, ma che contribuiscono a tenere viva la memoria collettiva di tempi lontanissimi.
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