«In Abruzzo e in Molise l’obiezione di coscienza sfiora percentuali da record, nella provincia di Chieti siamo oltre il 90%, a Vasto dieci donne e persone con utero su dieci vedono il proprio diritto ad abortire in sicurezza negato». Non si placano le reazioni alla denuncia di Zona Fucsia sull’impossibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza al “San Pio” di Vasto.
A intervenire con un articolato comunicato è il collettivo Malamend3: «Il trend italiano è in linea, escluse alcune isole felici. Noi, con il nostro Laboratorio per la Salute Popolare, vogliamo, non solo contribuire al lavoro di segnalazione e mappatura dell’obiezione del Collettivo Zona Fucsia, ma estenderlo dagli ospedali e dai consultori alle cliniche private e all3 singol3 professionist3, oltre che creare un’ambulatoria ginecologica sul territorio in cui viviamo».
«Mentre si parla di educazione sessuoaffettiva, a Vasto la concretezza delle risposte ai bisogni delle donne e delle persone con utero perde interesse. Consultorio e ospedale spesso non posseggono attrezzature adeguate né percorsi di accompagnamento e informazione aggiornati, episodi di discriminazione sono stati più volte riportati. Il personale sanitario non obiettore, negli anni ha, di fatto, garantito da solo l’accesso all’aborto a migliaia di gestanti».
«A Vasto, come nel resto della penisola e delle isole, l3 professionist3 sanitar3 che assistono chi avanza richiesta di Ivg lavorano di più rispetto a chi sceglie l’obiezione di coscienza. Lavoro per il quale non vengono remunerat3, anzi, non sono pochi gli ostacoli che queste persone devono affrontare, trovandosi ad essere giudicat3, isolat3, ostracizzat3 o demansionat3. Il mobbing spesso è una prassi alla quale sono soggett3. Vogliamo esprimere supporto, solidarietà e gratitudine a queste persone, che in alcune strutture in cui l’incursione delle morali confessionali, in particolare in Italia quella della Chiesa cattolica, diventa tale da non permettere un avanzamento di carriera a chi è qualificat3 ed abortista».

L’analisi della situazione da parte del collettivo è esteso anche alle farmacie «dove ci dicono che non vendono farmaci contraccettivi d’emergenza e noi non denunciamo perché pensiamo sia normale potersi rifiutare di garantire il nostro diritto alla salute e quello del frutto della nostra gravidanza indesiderata. In Italia, l’Ivg farmacologica (aborto con RU486) è stata introdotta nel 2005 in via sperimentale. Nel 2009, l’Aifa ha autorizzato l’uso della RU486, limitandolo ai primi 49 giorni di gravidanza e imponendo il ricovero di almeno 3 giorni. Solo nel 2020, a causa della pandemia, il ministero della Salute ha aggiornato le linee guida, estendendo l’uso fino a 63 giorni di gravidanza e consentendo l’aborto in day-hospital o ambulatoriale, ma a questo aggiornamento si sono adeguate solo alcune regioni, con differenze nell’applicazione e nell’interpretazione delle nuove disposizioni. La gran parte degli enti aperti alla possibilità del regime ambulatoriale prevedono comunque tre ingressi in consultorio: il primo per assumere la RU486, il secondo, dopo 48 ore, per l’assunzione della prostaglandina, cui segue un periodo di osservazione in sede di almeno 3-4 ore, il terzo per verificare l’espulsione, dopo circa 15-20 giorni. La procedura farmacologica è stata utilizzata nel 2020 nel 31,8% degli aborti, con notevoli differenze regionali, ad esempio in Molise vi ha ricorso solo lo 0,8% delle persone».
«Sul territorio succede anche che moltissim3 medic3 di base prescrivano visite ginecologiche e al Cup arrivino impegnative volte ad allungare i tempi di attesa per chi si appresta all’Ivg, contribuendo ad intoppare il già ingolfato sistema delle visite e dunque impattando anche sul diritto alla salute di altre persone. In ogni caso, la legge 194 riconosce al personale sanitario, e non all’intera struttura, l’obiezione di coscienza limitata al solo intervento di Ivg, e non ad attività precedenti o successive alla pratica».
«Secondo l’art. 9 della legge 194/1978, può sollevare obiezione di coscienza il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, mentre gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La Regione ha il compito di controllarne e garantirne l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale (art. 9, comma 4). La struttura che non può accogliere la richiesta di Ivg deve poter inviare lə paziente in un altro luogo dove poter abortire in sicurezza e verificare una corretta presa in carico da parte dell’ente subentrato».
«Dunque, le giustificazioni del primario di Ginecologia e Ostetricia D’Egidio, quando dice che “a Vasto è temporaneamente sospesa” l’applicazione dell’Ivg, rappresentano solo una conferma dell’illecito che siamo qui a denunciare e che vede Vasto protagonista con il beneplacito di Asl 02 e amministrazione. Dal punto di vista giuridico, l’interruzione volontaria di gravidanza è una prestazione sanitaria essenziale del SSN (Servizio Sanitario Nazionale) ed è improrogabile, non importa che l’aborto sia un’urgenza, esso è regolato dalla legge L.194/78. Questa viene ulteriormente disciplinata dalle normative generali in materia sanitaria di Stato e Regioni e dal ministero della Salute».
«Lo Stato, quindi, ha l’obbligo di garantire la prestazione, nella perentorietà dei termini e con i prerequisiti previsti, non devono esserci discriminazioni in base al territorio in cui deve essere effettuata (esempio: tra Nord e Sud, centro e periferia, zone rurali, montane e metropoli) né ritardi sulle tempistiche. Questo punto è molto importante, infatti il proseguire dell’età gestazionale è scientificamente correlato ad un aumento statistico delle complicazioni legate alla gravidanza, significa che eventuali temporeggiamenti da parte di Asl e personale sanitario possono causare danni, anche gravi, alla salute delle donne e delle soggettività che si trovano in stato interessante e vogliono interrompere la gestazione. Se poi, tale interruzione non fosse resa possibile, un’eventuale nascita contro la volontà della persona incinta, secondo la legge sarebbe fonte di responsabilità civile e di risarcimento di danno a carico delle strutture e del personale sanitario».
«C’è da dire che ogni richiesta di Ivg rappresenta, però, un caso a sè: data la variabilità dei nostri corpi, la 194 non nomina le circostanze in cui risulta utile o addirittura necessario accertare lo stato di salute della persona gestante. Per questo, esistono delle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), volte a prevenire situazioni di abusi, inefficienze, violenza ostetrica, inaccessibilità ecc. Mentre le società scientifiche italiane tacciono, l’Istituto Superiore di Sanità nel 2023 ha pubblicato le Indicazioni operative per l’offerta della interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, che hanno permesso al personale sanitario di chiarire dubbi e alle donne e soggettività gestanti di accedere a protocolli quanto più possibile omogenei tra regione e regione. Purtroppo, non esistono vincoli che obblighino il personale sanitario, oltre alla discrezionalità medica dovuta alle contingenze e alla deontologia, ovviamente».
«Queste indicazioni non sono altro che modelli di comportamento raccomandati a garanzia dell’applicazione della Legge 194, che basano la loro teoria su studi epidemiologici, ricerche e pareri di enti scientifici di rilevanza internazionale. A tutela della donna e della persona incinta interviene anche il diritto alla salute, cioè tutta la branca delle norme che regolano il consenso informato, i principi di dignità e libertà di autodeterminazione nella vita privata e di relazione, i diritti fondamentali e inviolabili dell’essere umano».
«Come ormai il movimento transfemminista dice da tempo, dal 1978, anno in cui viene promulgata la legge 194 in Italia, la scienza, le tecnologie, la società e gli equilibri politici hanno subito numerose evoluzioni (o involuzioni) ed è urgente ridiscutere il tema in Parlamento, mettendo al centro le nostre esperienze. A Vasto sono necessari l’ausilio e la divulgazione di una medicina transfemminista, decoloniale, di classe, ecosistemica e solidale. Come Collettiva Malamend3 ribadiamo e rinnoviamo l’impegno preso con il nostro Laboratorio per la Salute Popolare e promettiamo di rimanere sempre al fianco delle donne e delle libere soggettività del territorio abruzzese e molisano».
L’obiezione di coscienza è un diritto. Punto.