«State a casa», tre anni fa la primavera in lockdown

Era il marzo 2020 e il nostro compagno più fedele, tre anni fa, era il silenzio. Il silenzio delle strade a cui non eravamo abituati, delle auto ferme nei garage e dei bimbi chiusi in casa a disegnare arcobaleni. Un silenzio rotto solo dai bollettini quotidiani dei nuovi contagi, dalle sigle del tg e dai pochi mezzi di servizio che girano nelle strade deserte. Era il marzo 2020 e ci apprestavamo a vivere la nostra primavera più lunga a guardare fuori da dietro le finestre di casa ascoltando solo un inquietante, ma allo stesso tempo familiare, «state a casa, state a casa».

«La nostra ditta è solita occuparsi dei messaggi istituzionali del Comune, ma quando quella volta il sindaco Mario Pupillo chiamò chiedendo espressamente che fosse la voce di mio padre a dire alla città di stare a casa, fu diverso». Così Angelo Venditti, titolare dell’omonima ditta e figlio di Lucio, voce storica di Lanciano a cui fu affidato l’arduo compito di ordinare ai cittadini lancianesi di rispettare le norme anti contagio, ricorda quel periodo. «La voce era del mio papà, ma nella macchina con le trombe, in giro per la città, per oltre venti giorni, c’ero io – dice -. Vedere Lanciano così era surreale, soprattutto per chi come è abituato al caos e alla calca degli eventi. Tra le strade della nostra città c’ero solo io con la voce di papà. E anche se la sensazione era di enorme tristezza, riuscivo comunque a farmi una risata quando vedevo qualcuno che, all’avvicinarsi dell’auto e del monito di stare a casa, correva a nascondersi». E tante sono state le chiamate ricevute da Angelo da amici più o meno vicini che volevano approfittarsi del suo passaggio per mettere il naso fuori casa e prendere una boccata d’aria. «Meno divertente fu – racconta ancora – quando il sentimento generale di tristezza iniziava a trasformarsi in rabbia e la mia auto era il bersaglio facile, a volte anche da prendere a sassate. Per fortuna senza mai riuscirci davvero».

Il giovedì santo 2020

Un periodo in cui Lanciano si ritrovò a vivere la sua settimana santa più lunga, segnata dall’assenza delle storiche processioni e da un inaspettato Cireneo che, nella sera del Giovedì Santo, decise di uscire solo per le vie della città. Un gesto che nelle intenzioni, probabilmente, voleva simboleggiare l’accollarsi la pesante croce della pandemia, ma che nella realtà scatenò un fiume di polemiche e critiche. E la sua preghiera davanti la cattedrale, con il sindaco Pupillo con fascia tricolore e mascherina, insieme solo alle paperelle della villa comunale che, complice il lockdown, arrivarono fino in piazza, passò purtroppo in secondo piano.

E Pupillo è stato un sindaco che scelse di esserci, in piazza quella sera e a metterci la faccia ogni giorno. «Ho un messaggio importante per voi, cari concittadini di Lanciano: vi dico qual è l’unico vaccino possibile per il coronavirus al momento…restate a casa». Questo è l’incipit del post del primo video del sindaco Pupillo con cui è stata avviata la campagna di comunicazione di emergenza l’11 marzo 2020. Nel video, che ha raggiunto oltre 26mila utenti, il sindaco invitava a restare a casa cercando di rendere comprensibile il dpcm governativo e di spiegarne le motivazioni attingendo anche alle sue competenze di medico. «Nell’etimologia stessa della parola comunicazione, mettere in comune, c’è il senso ultimo delle azioni messe in campo anche in quei giorni difficili, a partire dal primo post del 24 febbraio – spiega Pier Paolo Di Nenno, responsabile della comunicazione per il sindaco Pupillo -. Il sindaco di una città, che sia grande o piccola, è come un capofamiglia al quale ci si rivolge nei momenti di difficoltà per avere chiarezza, comprensione, informazioni affidabili e tempestive, ascolto. A maggior ragione in una emergenza inedita come quella della pandemia da Covid, è il sindaco la figura “governativa” più vicina ai cittadini: una prossimità che abbiamo cercato di implementare e valorizzare con l’utilizzo della pagina pubblica Facebook con contenuti testuali, oltre che video e foto, capaci di dare contezza e chiarezza, quando possibile, dei numeri e delle norme in una situazione in continua evoluzione. Senza trascurare il rapporto quotidiano con stampa e istituzioni, soprattutto sanitarie, per offrire la massima trasparenza e la piena collaborazione con l’obiettivo appunto di “mettere in comune” dati, necessità, richieste di aiuto».

Pier Paolo Di Nenno

La paura di quei giorni non ha risparmiato nessuno, ovviamente, ma altrettanto ovviamente Pier Paolo sottolinea come abbia prevalso il dovere di stare al proprio posto per mettersi a disposizione della propria città; ed il posto di un sindaco in quei giorni era anche stare sui social e starci come si deve stare su una piattaforma che per moltissimi è stata la fonte principale di circolazione delle informazioni e di relazioni. «Non solo – prosegue -: è stato un modo efficace, come testimoniano i numeri delle interazioni registrate, per alimentare una relazione quotidiana con la cittadinanza, distante fisicamente ma vicina “social-mente”. Non a caso nei giorni in cui ministeri e istituzioni nazionali promuovevano nella loro comunicazione il distanziamento sociale come misura preventiva oltre che di contenimento del contagio, scegliemmo di preferire l’aggettivo fisico a sociale: un piccolo dettaglio però di sostanza affinché quel distanziamento fosse raccontato per quello che era, ovvero una necessità di allontanarsi fisicamente per ragioni sanitarie, ma non socialmente. La pandemia ha, qualora ce ne fosse stato bisogno, ribadito l’importanza e il valore di una comunicazione affidabile, tempestiva, organizzata che sappia avvicinare i governanti ai governati con un linguaggio comprensibile e “prossimo” in ogni genere di evento. Anche in quello triste e difficile, carico di lutti e dolore, dell’emergenza covid 2020».

E il lockdown fu anche il periodo della comunicazione da inventare. Soprattutto per chi della comunicazione ne fa un lavoro quotidiano. «Uno stato di tensione continuo e persistente, con lo sguardo fisso sul display del telefono e sulla schermata della posta elettronica del pc, per paura che potesse sfuggirmi qualche aggiornamento. Ricordo di aver vissuto così le prime settimane dell’emergenza Covid, seguite alla notizia dei due cittadini risultati positivi a Roma a fine gennaio 2020, che scatenò il panico anche nella nostra regione». Parla così oggi, il giornalista Francesco Flamminio, responsabile della comunicazione per l’assessorato regionale alla Sanità a cui venne affidato il compito di divulgare il bollettino Covid quotidiano.

«All’inizio tutti avevamo sottovalutato quello che stava per succedere convinti che sarebbe finita nel giro di un mese»

«In realtà, credo che all’inizio tutti avessimo sottovalutato la portata di quello che stava per succedere, convinti del fatto che sarebbe finita nel giro di un mese al massimo. E invece, come tutti sappiamo, andò molto diversamente. La difficoltà principale che ci siamo trovati ad affrontare, all’inizio soprattutto, è stata la mancanza di un modello di riferimento già definito – racconta -: anche la gestione nazionale, sia dell’informazione che della comunicazione d’emergenza, era scoordinata e pure le altre Regioni andavano in ordine sparso. Le ordinanze, i Dpcm e le altre circolari statali, inoltre, erano scritte in burocratese e piene di termini medico-scientifici che dovevano essere decodificati per renderli comprensibili a tutti. A livello locale, poi, avevamo un problema in più: le informazioni venivano veicolate non solo dal Dipartimento e dall’Assessorato regionale alla Sanità, ma anche dalle Asl e dai Comuni, con una sovrapposizione di dati confusi perché calcolati secondo tempistiche e modelli diversi. Un caos che fu risolto accentrando in Dipartimento e Assessorato tutto il flusso informativo e della comunicazione, lasciando alle Asl il compito di aggiornare i cittadini solo sulle iniziative aziendali legate al Covid, ma non sull’andamento della pandemia e sulle ordinanze. Anche il report dei contagi fu unificato e iniziammo a inviarlo una sola volta al giorno (prima aggiornavamo su ogni stock di tamponi positivi) e a orario fisso: c’era un funzionario del Dipartimento, Antonia Petrucci, che elaborava tutti i tamponi, scartava quelli ripetuti, ed estraeva quel dato quotidiano che poteva significare sollievo o altra paura».

Francesco Flamminio

Un’esperienza forte, senza dubbio, ma altamente formativa per il bagaglio professionale di Flamminio. «Ho avuto infatti la possibilità di vivere e raccontare in prima persona tutti gli aspetti che vengono affrontati durante un’emergenza -spiega -: non solo quelli sanitari e organizzativi, ma anche quei passaggi amministrativi che di fatto hanno regolato, nel vero senso del termine, oltre due anni della nostra vita».

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