Muore a 56 anni per dissezione aortica, maxi risarcimento della Asl per «omessa diagnosi»

Ammonta a 400mila euro il maxi risarcimento che la Asl Lanciano Vasto Chieti dovrà agli eredi di una donna, originaria di Lanciano, morta l’8 marzo 2011, per dissezione aortica nell’ospedale di Vasto, a 56 anni.

«La donna – racconta l’avvocato della figlia della defunta, Alessandro Di Martino – si reca nel Pronto soccorso di Lanciano a causa di un forte dolore alla schiena che la perseguitava ormai da 15 giorni». Nel nosocomio frentano viene messa in osservazione ma, come riferisce l’avvocato «non viene sottoposta ad alcun esame diagnostico, compreso un semplice esame del sangue e trattata come se avesse una semplice lombosciatalgia». Dopo alcune ore nel PS, la donna viene dimessa e fatta tornare a casa ma i figli, per nulla convinti della diagnosi, fanno di tutto per farla ricoverare. A Lanciano non ci sono posti e da lì il trasferimento al San Pio di Vasto, sempre con una diagnosi di sospetta lombosciatalgia. «Una volta a Vasto, il comportamento dei sanitari resta perlopiù lo stesso dei colleghi del Renzetti e prescrivono alla donna, per il giorno successivo, una serie di esami ed accertamenti. La donna però – spiega Di Martino – non ha mai potuto eseguire quegli accertamenti, se non post mortem perché è venuta a mancare nella notte». Gli esami eseguiti successivamente, per capire effettivamente cosa fosse successo, hanno poi rivelato la vera problematica: ovverosia una dissezione dell’aorta addominale.

E così, a distanza di 12 anni, il giudice Gianluca Falco della sezione civile del tribunale di Chieti ha ritenuto colpevole l’azienda sanitaria della morte della 56enne.  «Nel caso in esame la condotta omissiva, colpevolmente tenuta dai sanitari, ha cagionato la morte della paziente mentre una diversa condotta, vale a dire una diagnosi corretta e tempestiva, unitamente ad un adeguato trattamento, ne avrebbe consentito la guarigione chirurgica e clinica», recita la sentenza.

L’avvocato Alessandro Di Martino

«La mancanza di una adeguata valutazione diagnostica differenziale della sintomatologia presentata dalla paziente – si legge ancora nella sentenza -, che per alcuni aspetti potrebbe anche essere considerata tipica di una dissezione (dolore lombare, ipostenia agli arti inferiori), restando ancorati alla generica diagnosi sintomatica di “lombosciatalgia”, ha generato una cascata di eventi che hanno condotto verso una “direzione errata” che ha allontanato, nel breve tempo a disposizione, i sanitari dalla diagnosi propria, tralasciando di fatto tutta una serie di indagini opportune e indicate, che sicuramente avrebbero permesso un tempestivo e corretto inquadramento della patologia, con i relativi e consequenziali trattamenti terapeutici; diagnosi effettuata solo post mortem».

Agli eredi, la magra consolazione di aver visto riconosciute le proprie ragioni e la responsabilità medica di una morte che, probabilmente, poteva essere evitata.

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