Carla Santini: «Per noi donne strada in salita. La sordità è la mia più grande forza, il futsal è vita»

Otto marzo, anche lo sport in una data così importante, recita un ruolo da protagonista. La conferma arriva leggendo le parole, tutt’altro che banali, usate da Carla Maria Santini, elemento di spicco, in A2 di futsal, con la Lux Chieti. Partita dalla sua Casalbordino, con un pallone tra i piedi, si sta togliendo soddisfazioni a grappoli, diventando verso orgoglio per la comunità casalese. I successi nei campionati italiani ma la possibilità di poter confrontarsi anche in giro per l’Europa con la nazionale italiana sorde e in ultimo l’esperienza nella Deaf Champions League grazie alla chiamata della Sordapicena Sociale. La sordità tema delicato ma la ventitreenne casalese non si nasconde, tocca forte l’argomento mettendolo su un piedistallo avendola trasformata da «responsabile delle mie debolezze, ma che ora ho scoperto essere la mia più grande forza».

Parole profonde e decise anche per raccontare cosa rappresenti per lei l’8 marzo, una data che non può essere etichettata come festa ma «giorno di memoria, dedicato ai diritti delle donne sul piano sociale, politico, economico, come in ogni altro ambito della vita visto che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è ancora lontano, spesso ostacolato da muri culturali e legislativi». La classe 2000 Santini ha le idee molto chiare, schietta e sincera, in una giornata da non lasciare mai nel dimenticatoio.

Carla Santini, 8 marzo, “Giornata internazionale della donna”, per te cosa rappresenta questa data? «Non è una festa ma un giorno di memoria, dedicato ai diritti delle donne sul piano sociale, politico, economico, come in ogni altro ambito della vita. Un percorso di indipendenza ed emancipazione che vuole portare ad una società più equa. Nonostante i grandi passi in avanti, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è ancora lontano, spesso ostacolato da muri culturali e legislativi: si pensi solo alla disparità salariale ancora presente, la relegazione delle donne ai margini dei processi decisionali oppure la violenza di genere che colpisce una donna su tre».

Hai mai percepito di avere meno opportunità solo perché donna? «Sicuramente sì, sia indirettamente che direttamente. Personalmente soprattutto in ambito sportivo, oltre a quello della mia sordità, ho avvertito tanto il peso del genere. Ho vissuto, sin dalla mia infanzia, in una realtà molto piccola e l’unica bambina in una squadra di maschietti destava non pochi sguardi e considerazioni. Lo sport è tradizionalmente un settore dominato dagli uomini e i progressi verso la parità di genere in questo ambito sono frenati dalle concezioni sociali di femminilità e mascolinità. In un’ottica più oggettiva, il peso del genere è un sentimento da sempre diffuso e frutto di una società fondata su un pensiero perlopiù patriarcale e maschilista».

Parole dure e forti, dai passi ancora da fare alla tua passione per il futsal, dove nasce? «Quasi per caso. Iniziai con il calcio a 11 che sin da quando ero piccola pensavo l’unico “calcio”. È stato in un momento di indecisione, di assenza di squadre femminili di calcio a 11 nelle vicinanze del mio piccolo paese, lontano da grandi centri, che ho deciso di accettare la proposta del Mister Morelli di giocare al San Vito Calcio a 5. All’età di 15 anni capivo poco di futsal, ma piano piano mi sono innamorata di questo sport. Con l’esperienza al Montesilvano in Serie A ne ho capito finalmente l’essenza, la sua particolarità. Adesso seguo solo partite di futsal, mi piace entrare dentro il meccanismo, capirne a fondo le strategie»

Nell’ultimo anno tra Chieti, Nazionale Italiana e l’esperienza in Champions ti sei tolta parecchie soddisfazioni, potendo scegliere qual è l’episodio che custodisci con più orgoglio? «Non saprei scegliere, ogni esperienza mi ha dato qualcosa di diverso, di specifico in quel dato periodo: se l’esperienza con la Nazionale, presa dall’inizio, mi ha insegnato ad accettare il mio deficit uditivo, con il Chieti ho sperimentato l’entusiasmo singolare di un lavoro di squadra per raggiungere l’obiettivo comune, e l’importanza di ogni singola persona all’interno del Team. Più recentemente, la Champions ha tenuto vivi i rapporti con persone con le quali ho condiviso un’esperienza di vita. Ogni singolo evento mi ha resa orgogliosa a suo modo, arricchito da quello precedente. Forse, a livello soggettivo, il primo per ordine mi ha segnata in quanto la sordità è sempre stato per me un tema molto sensibile, avendola non poche volte ritenuta responsabile delle mie debolezze, ma che ora ho scoperto essere la mia più grande forza».

Chi è la donna più importante della tua vita? Un esempio da seguire e per quali qualità o doti? «La donna, o sarebbe meglio dire le donne più importanti della mia vita sono sicuramente mia mamma e mia sorella, nei momenti più difficili e cupi sono state le prime a dirmi di andare avanti. Mia madre si è ritrovata di fronte una situazione totalmente nuova da affrontare, quando mi è stata diagnosticata la sordità, e ha dato tutta se stessa per riuscire a farmi sentire il più possibile parte del mondo, scacciando le numerose difficoltà che avrei potuto affrontare. Mia sorella non è mai mancata quando l’incoraggiamento era fondamentale e necessario purché mi potessi rialzare. Due persone magnifiche, per le quali sono profondamente grata».

Pensando al campo, cosa puoi raccontarci dell’ultima esperienza svedese in Champions? «La Deaf Champions League è stata un’esperienza straordinaria, anche se breve e forse il risultato finale non è stato quello sperato. Tuttavia, per ciascuna di noi ha costituito un evento fondamentale di crescita, sia sportiva che personale, oltre che per la carriera. L’inizio un po’ suggestivo: sono atterrata a Göteborg, ho preso il taxi e sono arrivata giusto in tempo per l’appello della seconda partita contro il Karlsruhe, che abbiamo vinto. È stata una parentesi importante, e “speciale” come quella dell’Europeo. Sono molto felice di aver detto di sì, nonostante mi rattristi non riuscire a conciliare i miei impegni con la FSSI e quelli con la Serie A2. Essendo due Federazioni separate, ho infatti dovuto rinunciare a giocare partite sia da una parte che dall’altra».

Cosa significa indossare la maglia azzurra e rappresentare l’Italia? «Per me è sempre un onore, ogni volta un motivo di orgoglio. È un sogno che ho da bambina e vederlo realizzato è qualcosa che spesso faccio fatica a spiegare. È sempre bello ed “elettrizzante” entrare in campo, “cantare” l’inno in LIS e giocare con e per questi colori».

A novembre, in Brasile, ci sarà l’impegno nel Mondiale, come ti stai preparando? «Prematuro parlarne, è una manifestazione ancora troppo lontana ma, l’eccitazione in vista della competizione internazionale è viva da quando abbiamo conquistato il quinto posto all’Europeo nell’ottobre scorso, Siamo un gruppo in crescita e non vediamo l’ora di confrontarci in una manifestazione così importante».

In A2 con il Chieti, che ambiente stai vivendo in terra teatina?  «Sono soddisfatta dell’ambiente ritrovato presso la Lux Chieti, che mi sento di considerare casa e spazio sicuro, assieme a tutte le ragazze. Abbiamo riscontrato di recente un piccolo momento di bilico in cui forse dovevamo ritrovare la nostra identità. Tuttavia stiamo iniziando a riprendere la strada giusta, col Prandone prima e con il Santa Maria Apparente lo abbiamo dimostrato e la prestazione è stata molto convincente, di squadra».

Tra studio e futsal il quotidiano è ricco di impegni, senti il peso? «Per me università e sport sono due strade parallele che difficilmente si incrociano, spesso sono dovuta giungere a compromessi per riuscire a svolgere entrambi, per riuscire almeno ad ottenere un equilibrio. In passato con i cinque allenamenti settimanali più partita, al Montesilvano, ho sofferto abbastanza l’Università, quindi aver ridotto gli allenamenti settimanali è stata una “boccata d’aria”. D’altro canto aver abbandonato un ambiente che sapevo essere allenante e spunto di crescita notevole a livello atletico e mentale, circondata da calciatrici esempio, è stato piuttosto difficile. Naturalmente l’università richiede tanto impegno e dedizione così come lo sport ad alto livello. Nei momenti sportivi più difficili non la vivevo molto bene, specialmente se vedevo che compagne e compagni di corso erano più avanti di me, ma ho capito che l’importante è andare ciascuno alla propria velocità, al proprio passo, non c’è un tempo giusto o un tempo sbagliato».

A quasi 23 anni hai ancora tanti obiettivi da raggiungere, tra vita e sport, dove punti ad arrivare? «Vorrei accumulare più esperienze possibili, diversificate tra loro, nella vita come nello sport. Innanzitutto vorrei imparare la Lingua dei Segni Italiana, poiché mi piacerebbe l’idea di lavorare in ambito di assistenza alla comunicazione. Allo stesso modo spero di poter continuare la mia esperienza nel futsal nazionale, udente e sordo, sperando anche di riuscire a conciliarlo. Sicuramente il climax sarebbe riuscire a conquistare un podio con la nazionale sorde, che sia il mondiale, l’europeo o le olimpiadi, e specialmente riuscire a farlo con un gruppo come questo».

In ogni tua esperienza tra club e nazionale non manca mai il tifo della comunità casalese, quanto orgoglio c’è nel fare felici anche i tuoi concittadini? «La comunità casalese ha sempre mostrato il proprio supporto sin dall’inizio. Sono orgogliosa di far parte di una comunità che apprezza lo sport di ogni genere. Ringrazio particolarmente l’assessore allo Sport Umberto D’Agostino, che continua a dimostrare tutto il suo impegno per promuovere i risultati sportivi e lo sport nel nostro territorio. Spero inoltre possa essere uno spunto per altre ragazzine provenienti da piccole realtà e non a perseguire il loro sogno nel calcio, a non considerarlo uno sport “di genere”, ma uno sport che unisce e che fa stare bene, nella mente e nel corpo».

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