«È in forte pericolo l’incolumità fisica del personale di polizia penitenziaria che svolge servizio all’interno dei reparti detentivi» della Casa Lavoro di Vasto. A denunciarlo, in una lettera invita al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Russo e al Provveditore Regionale Lazio, Abruzzo e Molise Pierpaolo D’Andria, sono i rappresentanti locali delle organizzazioni sindacali Sappe, Sinappe, Osapp, Uil, Cisl, Cgil e Uspp. Il problema della carenza di personale nell’istituto vastese che «non consente di garantire un livello minimo di sicurezza», è acuito da una serie di episodi che avvengono nella struttura.
I rappresentanti degli agenti di polizia penitenziaria evidenziano «l’inaudita violenza e pericolosità messe in atto, quasi quotidianamente, da parte di alcuni internati i quali, seppure puniti dal consiglio di disciplina, non eseguono le sanzioni comminate per il mancato rilascio del nulla osta sanitario. Ciò consente di perseverare nell’adottare comportamenti prevaricatori nei confronti del personale che viene continuamente, senza difficoltà, l’opera di denigrazione e di oltraggio a tutto il personale, unitamente ad una parte di ristretti più deboli. La Direzione – si legge nella lettera del 27 gennaio – ha più volte segnalato tale problematica ai competenti uffici dipartimentali i quali hanno rimandato al mittente la questione, non considerando che tale escalation di violenza potrebbe sfociare anche in episodi nefasti, se si considera che alcune unità di polizia penitenziaria, compreso il comandante, non possono accedere nei reparti poiché sono stati minacciati dagli stessi internati facinorosi».
L’ultimo episodio violento registrato è del 26 gennaio, quando un internato ha distrutto alcune telecamere del circuito di videosorveglianza impedendo, ora, «di controllare alcune parti dell’Istituto». È una situazione di difficoltà ed estremo malessere, quella rappresentata dalle organizzazioni sindacali, che riferiscono anche di atteggiamenti da parte di internati «che ritengono di poter fare ciò che vogliono, come e quando». Il timore è di doversi trovare «a comunicare episodi tragici ed irreversibili» e per questo vengono chiesti «provvedimenti risolutori».