«Siamo al sesto anno. Dopo sei anni, forse arriviamo al primo grado di giudizio. Questo anniversario è diverso dagli altri». Mario Tinari e gli altri familiari delle vittime della tragedia dell’hotel Rigopiano lo trascorrono stamattina in un’aula del tribunale di Pescara. Prima di tre udienze di fila e di nove complessive che mancano al 17 febbraio, il giorno della sentenza. «Saremo presenti al processo, come sempre. Poi, tra mezzogiorno e le 12,30, ci sposteremo sul luogo in cui cadde la valanga. Sarà una cerimonia semplice: una messa e la deposizione dei fiori», racconta il papà di Jessica, morta a 24 anni sotto le macerie insieme al suo ragazzo, Marco Tanda, 25enne pilota della Ryanair. Erano lì, nel resort di Farindola, per trascorrere un weekend romantico insieme. La frana che si staccò dal monte Siella nel pomeriggio di quel 18 gennaio 2017 era pesante come 4mila tir a pieno carico. Spezzò 29 vite. I soccorritori, nelle ore e nei giorni successivi, riuscirono a salvare 11 delle 40 persone che si trovavano nell’hotel distrutto da una coltre di neve, fango, alberi e pietre. Chiaro Quotidiano ha intervistato Mario il 3 novembre scorso, nel giorno in cui Jessica avrebbe compiuto trent’anni:
Tinari ha seguito tutte le udienze di questo lungo processo, scaturito da un’altrettanto complessa indagine. «Speriamo sia davvero arrivato il tempo della sentenza, già si è perso molto tempo. Jessica ci manca sempre di più, impossibile distaccarsi. Anche Marco, per me e per mia moglie, era come un figlio. Passa il tempo, ma per noi è come se fosse il primo anno. Sento giorno per giorno una mancanza di stimoli, di motivazioni, perché si vive per i figli e, in prospettiva, per i nipotini. Ora vivo per chi mi vuole bene e nel ricordo della nostra ragazza. Da questo 2023 mi aspetto che si faccia chiarezza, perché in questa tragedia tante cose sono state nascoste. Voglio sapere chi ha sbagliato e perché. Non cerco vendette, ma solo giustizia perché certi errori non si ripetano in futuro».
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