Condanne per 26 dei 30 imputati. Le ha chieste oggi la pubblica accusa del processo sulla tragedia dell’hotel Rigopiano, dove morirono 29 persone sotto le macerie causate dalla valanga del 18 gennaio 2017. Tra le richieste dei pubblici ministeri, 12 anni di reclusione per l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, 11 anni e 4 mesi per il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta e 6 anni per Antonio Di Marco, ex presidente della Provincia.
Oggi il secondo giorno delle requisitorie dei pm Giuseppe Bellelli, Andrea Papalia e Anna Benigni. Il processo si svolge con rito abbreviato davanti al gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea.
Papalia si è concentrato sui ritardi nell’apertura della Sala operativa e del Centro di coordinamento dei soccorsi. Benigni, in precedenza, aveva citato ognuna delle 29 vittime mostrandone le foto e fornendo brevi informazioni sulla loro vita.
«Parliamo di depistaggio ma non ci sono grandi misteri oggi da svelare», ha detto in aula Bellelli. «C’era l’inefficienza grave della Prefettura, non ci sono grandi depistaggi italiani: non c’è un anarchico che cade dal balcone della Questura, non ci sono tracce scomparse dal cielo di Ustica, non c’è un’agenda rossa trafugata. Parliamo di un prefetto di provincia che lascia cadere nel vuoto una richiesta di aiuto».
Domani le arringhe delle parti civili, poi parola alla difesa e, successivamente, le eventuali repliche. Infine il verdetto, primo punto fermo di una vicenda iniziata cinque anni fa.
«Le richieste dei pm sono eque», commenta Mario Tinari, papà di Jessica, morta a 24 anni insieme al suo ragazzo, Marco Tanda, 25enne, sotto le rovine dell’albergo sepolto da una coltre di neve, terra, pietre e alberi pesante come 4mila tir a pieno carico. «Ci sembrava che il processo fosse fermo, ora c’è stata un’accelerazione. I pubblici ministeri hanno svolto un ottimo lavoro sottolineando due aspetti fondamentali: il primo è che l’hotel non avrebbe dovuto essere lì, il secondo è che sarebbe bastato l’intervento anche di uno solo degli enti preposti per spezzare la catena di errori da cui è scaturita la tragedia. Non sono soddisfatto, perché non sono mai soddisfatto quando si chiede il carcere di chiunque. Quello che chiediamo noi familiari è giustizia, una giustizia che sia di esempio per chi amministra la cosa pubblica. L’unica soddisfazione, per me, sarebbe se tornassero le persone che non ci sono più. Ma questo non è possibile».
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