«Così è nata la foto a Falcone e Borsellino», Tony Gentile racconta l’intuizione dello scatto “numero 15”

Era una serata in occasione della campagna elettorale di Giuseppe Ayala, si parlava di mafia e politica. C’era un tavolone pieno di ospiti più o meno illustri e poi, un po’ defilati, c’erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che parlavano. I due si sono avvicinati, si sono scambiati una battuta chissà su cosa, è stato un attimo ed in quell’attimo c’è stato il click della macchina fotografica. Era la sera del 27 marzo 1992, a Palermo.

È nata così la celebre fotografia dei due magistrati diventata il simbolo della lotta alla mafia scattata dal fotografo Tony Gentile. Oggi, trent’anni dopo quello scatto e trent’anni dopo la strage di Capaci, quella foto è pronta per finire su tre milioni di monete da due euro, per ricordare il sacrificio dei due giudici nella lotta alla mafia.

«Ho iniziato il mio lavoro a Palermo, la mia città, a fine anni ’80 e dopo i primi tragici esperimenti da giovane fotogiornalista alle prime armi, mi sono subito ritrovato dentro quel clima pesante che si respirava quegli anni in Sicilia. – dice Gentile, a Lanciano in occasione della rassegna fotografica, Immagina – E ispirandomi in tutto e per tutto a Letizia Battaglia e Franco Zecchin, ho iniziato la mia carriera».

Una carriera spesa a raccontare l’Italia attraverso il suo obiettivo, dalle stragi di mafia alla vita di ben tre Papi, con un debole per Francesco. «Ho fotografato davvero di tutto nella mia vita e nel mio lavoro con la Reuters. Politici, sportivi e personaggi famosi, – racconta Gentile – ma con nessuno mi sono trovato in grande empatia così come con Papa Francesco. Riesce a creare un rapporto one to one con ognuno ed è impossibile non voler condividere con lui anche solo un piccolissimo pensiero. Lo considero la persona più potente che ho fotografato, ma anche la più umana».

Quasi quarant’anni di carriera facendo il suo lavoro al top non gli hanno però tolto di dosso l’etichetta di chi ha realizzato uno degli scatti italiani più famosi del ‘900 anche se quella foto, per lui, è croce e delizia. «Sono orgoglioso di aver scattato quella foto, lo sarò per sempre ma vorrei che lo Stato, in qualche modo riconoscesse che fosse mia». Già lo Stato, quello stesso Stato che affigge quella foto in tutti gli uffici pubblici dedicati ai due magistrati scomparsi per mano della mafia, ha deciso che quello scatto «non è opera dell’ingegno, bensì è una foto semplice», per cui trascorsi vent’anni dalla sua realizzazione, non è più di proprietà di chi l’ha scattata ma diventa di tutti. «Io ricordo perfettamente quella sera e ricordo di essermi messo lì, in una situazione formale, in attesa che accadesse qualcosa di vero, di spontaneo. – ricorda Gentile – Quando intuisco che sta per succedere, mi avvicino e scatto per 17 volte. Quando poi vado in camera oscura capisco subito quale, tra le 17, fosse la foto buona. Era la numero 15. Secondo voi tutto questo lavoro non è opera dell’ingegno?». Una situazione che ha del surreale e che si è acuita proprio con il nuovo conio delle due euro. «Sono stato chiamato dalla Zecca per avere l’autorizzazione ad utilizzare quella mia foto. Io avevo chiesto solo che ci fosse la firma e che mi fosse pagata, per poter dare quei soldi in beneficenza, ma volevo un riconoscimento al mio lavoro. – spiega il fotografo – All’inizio si era parlato di un contratto scritto, poi il silenzio. Perché? Perché nel frattempo alla Zecca avevano saputo di quella sentenza che certifica che io non esisto, che quella foto non vale nulla. Continuerò a battermi affinché venga riconosciuto il mio lavoro, ma ho bisogno che qualcuno che conta difenda per me quella foto, io da solo non ne sono in grado».

Una foto che è diventata icona positiva della nostra storia recente e della lotta alla mafia e, se considerata addirittura patrimonio dell’umanità, può essere nello stesso tempo considerata di proprietà di nessuno? «Sarò per sempre orgoglioso di quello scatto. I miei figli, ogni volta che vedranno un murales che ritrae quella foto sapranno che è opera del loro papà. – conclude – Ho iniziato questo lavoro pensando che ogni foto può e deve lanciare un messaggio sociale e se con lo scatto numero 15 di quel rullino sono riuscito a far capire ai giovani che da che parte stare, ne sono felice. Vorrei solo che il mio lavoro, il mio estro creativo, dopo trent’anni, venisse finalmente riconosciuto».

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