Un po’ concerto e un po’ spettacolo teatrale. Stefano Belisari, in arte Elio, porta in scena musica e parole di Enzo Jannacci in Ci vuole orecchio [LEGGI], dedicato all’eccentrico e geniale artista della musica italiana, tra successi conosciuti da tutti e vere gemme preziose del suo repertorio. Le canzoni di Jannacci, il poetastro come amava definirsi lui, sono state unite dalla drammaturgia di Giorgio Gallione e con gli arrangiamenti di Paolo Silvestri per creare una storia divertente e riflessiva, comica e a tratti malinconica di cui Elio è il perfetto interprete. Ci vuole orecchio arriva a Vasto, sabato 23 luglio, nella rassegna Arena sotto le stelle all’Arena Ennio Morricone.
Con una scenografia coloratissima e cinque musicisti (Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabbasso, Sophia Tomelleri al sassofono, Giulio Tullio al trombone) come compagni di viaggio, Elio è pronto a condurre il pubblico in un viaggio tra note e parole.
Il titolo dello spettacolo è quello di uno dei celebri successi di Jannacci. Per cosa ci vuole orecchio oggi?
Ci vuole sensibilità per gli altri, per capire gli altri, anche per comprendere come gira il mondo. Non è facile, oggi, perché il linguaggio cambia velocemente e ci vuole sensibilità.
Enzo Jannacci è uno di quei tanti artisti italiani che viene riscoperto e valorizzato solo dopo la sua morte. Non si può davvero far nulla per dare valore agli artisti mentre sono nel loro percorso?
Mi consola il fatto che sia sempre accaduto, anche a grandi nomi. Bach, ad esempio, venne riportato in auge solo dopo molti anni, era stato quasi dimenticato. Non è facile perché non si può dare attenzione sempre a tutto. Sicuramente una parte di responsabilità ce l’ha la critica, ce l’hanno i personaggi sulla carta più competenti che, molto spesso, si lasciano andare alle mode. Jannacci, personalmente, l’ho sempre vissuto come una specie di parente. Mio papà era suo compagno di classe quindi, sin da piccolo, ascoltavo i suoi dischi. Su di lui ho un’attenzione molto più alta.
Nelle sue canzoni c’è il racconto di uno spaccato della società degli anni ’60 e 70′. Ma, ascoltando le canzoni, sembra si parli dei tempi attuali.
Questa è una caratteristica dei grandi artisti, non sentono l’effetto del tempo. Si dice che qualcosa è un classico quando sopravvive per tempi lunghissimi. E Jannacci mi sembra abbia proprio questa dote, sembra di ascoltare storie che sono state scritte oggi.
Portare in scena un spettacolo su un artista come Enzo Jannacci è più un divertimento o una responsabilità?
Responsabilità zero, forse zero virgola uno. Tutte le volte in cui porto in giro qualche spettacolo lo faccio per egoismo, perché piace a me. Mi fa molto ridere, tutte le sere, cantare questi pezzi e mi piace molto vedere il pubblico che reagisce sempre in maniera entusiasta.
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