Il 19 maggio si celebra la Giornata mondiale delle malattie infiammatorie croniche intestinali nata per sensibilizzare le amministrazioni pubbliche e i cittadini e per portare alla luce le disabilità invisibili. Secondo i dati forniti dall’IG-IBD, Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Diseases, l’associazione scientifica dei clinici esperti di queste malattie, «in Italia sono circa 130mila le persone colpite da colite ulcerosa, mentre sono intorno ai 250mila i pazienti che soffrono complessivamente di malattie infiammatorie croniche intestinali. L’incidenza della malattia, intorno ai 10-12 casi su 100mila abitanti, è in linea con quella registrata nel resto d’Europa». In questa giornata tutto si illumina di viola, in un’iniziativa per «colorare di gioia e di speranza il futuro delle persone affette da queste patologie». Per l’occasione anche la statua di Gabriele Rossetti a Vasto si vestirà di viola a partire dalle 20 di questa sera [LEGGI].
Di malattie infiammatorie croniche intestinali, dei loro sintomi, terapie e impatto sulla vita dei pazienti, abbiamo parlato con il dottor Michele Silla, primario del reparto di Gastroenterologia dell’ospedale San Pio di Vasto.
A quali patologie ci si riferisce quando si parla malattie infiammatorie croniche intestinali e quali sono i “numeri” nel Vastese?
Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino a cui facciamo riferimento sono la colite ulcerosa e il morbo di Crohn. L’incidenza di queste patologie nel nostro territorio rispecchia perfettamente quella che è l’incidenza su scala nazionale. Il nostro ambulatorio segue circa 300 pazienti che hanno questo tipo di malattie, pazienti che afferiscono però anche da altre aziende sanitarie e da altre regioni in quanto il nostro ambulatorio è un centro ritenuto di riferimento aziendale per quanto riguarda la diagnosi e la cura di queste malattie. Per questo motivo i nostri numeri sono leggermente più alti rispetto a quella che è l’incidenza normale, perché raccogliamo le attenzioni anche di utenti al di fuori del nostro territorio.
C’è una prevalenza di queste patologie a carico di uomini o donne?
Non c’è una chiara prevalenza di casi che coinvolgono un sesso rispetto all’altro. Il dato che stiamo osservando nella nostra attività è l’abbassamento dell’età per quanto riguarda l’esordio della malattia. Le malattie infiammatorie intestinali pediatriche, infatti, sembrano in incremento rispetto a qualche anno fa. Questo probabilmente accade perché è aumentata la sensibilità della classe medica nei confronti di queste patologie che quindi vengono cercate prima nei pazienti anche pediatrici, che hanno disturbi che una volta venivano etichettati in maniera funzionale, ad esempio come intestino irritabile, che in realtà poi si rivelavano delle forme di Crohn o di colite ulcerosa magari non gravissime ma che nel tempo hanno acquisito la rilevanza di malattia infiammatoria cronica ben definita.
Si parla spesso di prevenzione. Quali sono i passi che un paziente dovrebbe compiere per avere una diagnosi di colite ulcerosa o morbo di Chron?
Io dico sempre che il primo esame, imprescindibile nonostante l’evoluzione della tecnica e delle tecnologie, è rappresentato dal contatto diretto con il medico gastroenterologo che si occupa di queste malattie. Quindi, un’attenta raccolta dell’anamnesi e la visita del paziente sono i presupposti fondamentali per poter impostare il percorso diagnostico. Molto spesso bastano anche dei semplici esami del sangue e delle feci per innescare il sospetto diagnostico e quindi approfondire poi la procedura con l’esecuzione di esami endoscopici, radiologici ed ecografici che permettono nel giro di poco tempo di definire per bene la diagnosi e il grado di severità della malattia. Queste sono patologie purtroppo molto spesso sottovalutate. È fondamentale che la sensibilità in merito a questi disturbi cresca, soprattutto per anticipare la diagnosi quanto più possibile e per non arrivare quando è troppo tardi. Prima interveniamo con la diagnosi e con i farmaci, maggiori sono le probabilità di uno sviluppo favorevole della malattia. La prevenzione, sia nella classe medica che nella popolazione, è fondamentale: se una persona ha un sospetto, deve andare a fare una visita gastroenterologica, degli accertamenti specifici.
Quali solo i campanelli d’allarme della presenza di queste patologie?
La sintomatologia più comune è rappresentata dalle alterazioni dell’alvo. Molto frequentemente i pazienti esordiscono con diarrea, spesso con sangue e muco nelle feci, ma alle volte si può avere anche un esordio più subdolo rappresentato da manifestazioni che noi definiamo “extra intestinali” nel senso che il paziente avverte dei disturbi che non sembrano correlati all’intestino, come dolori articolari e muscolari e solo successivamente, nel corso di indagini e approfondimenti diagnostici, i sintomi vengono ricondotti a questa malattia intestinale che non è ancora “esplosa” a livello intestinale ma che ha cominciato a dare segni coinvolgendo altri apparati.
Quali sono le terapie per il trattamento di questi disturbi?
Dalla manifestazione della malattia, è possibile tenere sotto controllo la maggior parte di queste infiammazioni con farmaci che, pur essendo “datati”, continuano a conservare la loro validità ed efficacia. Nelle forme più aggressive, invece, è opportuno ricorrere a farmaci più innovativi che richiedono un controllo effettuato da professionisti ed esperti. In presenza di queste forme più gravi, può essere necessario anche il ricorso ad interventi chirurgici. Non tutti i gastroenterologi si occupano di queste malattie, è necessario seguire un percorso formativo specifico per acquisire conoscenze in questo senso e soprattutto per creare reti di comunicazione tra i centri principali d’Italia per effettuare uno scambio continuo di informazioni, impressioni ed esperienze che permettono poi di gestire in maniera più fluida pazienti che alle volte presentano dei casi di estrema complessità e che non possono essere gestiti se non ricorrendo a questo tipo di preparazione professionale che richiede un aggiornamento costante.
Come cambia la vita di un paziente affetto da malattie infiammatorie croniche intestinali?
Inizialmente l’impatto è importante perché il paziente si sente etichettare una malattia cronica, e da queste malattie non si guarisce. Fortunatamente abbiamo tanti strumenti farmacologici di recente acquisizione che una volta non avevamo a disposizione e che permettono al paziente se non di guarire quantomeno di avere una remissione, uno spegnimento della fase acuta della malattia in maniera stabile nel tempo. Le prospettive di qualità della vita sono nettamente migliorate rispetto a qualche tempo fa, il paziente ben controllato è un paziente che ha una vita assolutamente normale dal punto di vista sociale, lavorativo e affettivo e anche in termini di crescita, visto che abbiamo parlato di bambini colpiti da queste patologie. La particolarità di queste malattie è che, contrariamente a tante altre patologie croniche, si tratta di disturbi che il paziente vede e ciò scatena un impatto emotivo importante. Dobbiamo lavorare quindi molto sulla rassicurazione e sul ricondurre nella giusta dimensione la gravità di questa malattia. Si tratta di patologie serie ed importanti che però se ben seguite e ben gestite permettono al paziente di avere una vita perfettamente normale.
Parlando di prevenzione, diagnosi e visite specialistiche, uno dei problemi più grandi riscontrato dai pazienti è quello delle liste d’attesa infinite che spesso portano i cittadini a rinunciare alle cure. Anche i pazienti affetti da patologie croniche intestinali incontrano questa difficoltà?
Quello delle liste d’attesa è un problema che fortunatamente non riscontriamo perchè, grazie all’attivazione dell’ambulatorio Mici, dedicato alle malattie infiammatorie croniche dell’intestino, il paziente che ha necessità particolari e non trova un’immediata disponibilità al Cup, può tranquillamente rivolgersi all’ambulatorio in cui uno dei medici riuscirà a gestire la tempistica e soddisfare la richiesta in tempi ragionevolmente brevi. In questo senso anche l’attività di aMici, associazione nazionale che riunisce tutti i malati infiammatori cronici, svolge un ruolo molto importante perché è composta sia da malati che da medici che si occupano di queste problematiche. Ciò permette di creare una buona sinergia tra medici e pazienti per cui noi conosciamo le loro esigenze e loro conoscono le nostre possibilità. Grazie all’azione dell’associazione aMici si sono create le condizioni per risolvere tante criticità. Il problema più grande, quando si parla delle difficoltà “amministrative” che interessano queste malattie è che lo Stato non si fa ancora carico in maniera adeguata di tutte le necessità di questi pazienti. Ci sono tante esenzioni che non vengono considerate e molti pazienti sono costretti a pagare prestazioni e analisi che sono importanti per la loro patologia ma che lo Stato non riconosce. La criticità più grande non è tanto l’accesso alle cure, quanto la disponibilità anche economica del paziente. Inoltre, non tutti i datori di lavoro sanno cosa vuol dire avere la colite ulcerosa o il morbo di Crohn e spesso succede che i pazienti sono costretti ad assentarsi dal luogo di lavoro ogni mezz’ora per andare in bagno e ciò genera grossi problemi perché i datori di lavoro gli fanno notare le loro assenze ripetute. Molto spesso i malati si rivolgono a noi chiedendoci di aiutarli con delle certificazioni. Problemi analoghi si riscontrano anche nelle scuole con degli studenti costretti ad andare spesso in bagno e i professori che in un certo qual modo li rimproverano. Consideriamo anche che c’è un po’ di pudore nel parlare di queste malattie e molti malati non raccontano delle patologie che hanno, preferendo non comunicare il loro problema. C’è tutta una cultura della malattia infiammatoria cronica dell’intestino che andrebbe sviluppata e riconsiderata.