Senza una strategia mirata e politiche industriali capaci di coniugare transizione ecologica, tenuta sociale e rilancio della competitività, l’Italia rischia di perdere un settore fondamentale per la propria economia, quello dell’automotive. A lanciare l’allarme, ieri, ad Atessa sono stati i protagonisti del panel Crisi e prospettive dell’automotive, all’interno del Val di Sangro Expò. Tra gli ospiti: Carlo Calenda, Lorenzo Sospiri, Stefano Boschini (settore auto nazionale Fim Cisl), Rocco Palombella (segretario generale Uilm), Paola Inverardi (rettrice del Gran Sasso Science Institute), Daniela Di Pancrazio (vicepresidente Confindustria Abruzzo), Marco Matteucci (responsabile automotive Confindustria Medio Adriatico); a moderare l’incontro il sindaco di Atessa, Giulio Borrelli.

Il quadro emerso è quello di una crisi strutturale e sistemica. Lo stabilimento Stellantis di Atessa ha perso 1.600 lavoratori dal 2021 e ha visto la produzione scendere da 310mila del passato a 192mila furgoni del 2024. A livello nazionale il calo Stellantis nella produzione e nelle vendite si somma al peso del costo dell’energia, molto più elevato rispetto ad altri Paesi europei.
Per la Fiom, rappresentata da Samuele Lodi, «parlare di automotive in Italia significa parlare di Stellantis, perché abbiamo solo Stellantis, oggi ottavo produttore in Europa, 20 anni fa il secondo. La transizione, così come voluta dall’Europa, è stata fatta contro i lavoratori. L’Ue, dopo le imposizioni, non è stata coerente e conseguente in termini di investimenti e di tenuta sociale. Ma è di Stellantis la responsabilità del disinvestimento progressivo nel nostro Paese. Negli ultimi 10 anni esso registra 15-16mila lavoratori in meno, solo nel 2024-2025 sono stati elargiti incentivi all’esodo ad altri duemila lavoratori. E quando si campa di incertezze e di ammortizzatori sociali, è normale che un lavoratore accetti incentivi per 50-80mila euro per lasciare la fabbrica, in cerca di maggiori sicurezze e di nuove opportunità. Stellantis, così, non chiude le fabbriche, le spegne gradualmente».

«C’è anche un problema sociale che non viene affrontato, perché gli stipendi sono fermi e il costo della vita aumenta – ha detto Palombella – Il vero problema è salariale, perché bisogna avere la possibilità di acquistare beni. Stellantis negli ultimi anni ha collezionato record negativi di produzione, ovunque. Ad Atessa siamo passati da 310mila a 192mila furgoni. Gli autosaloni sono pieni di auto elettriche cinesi dai bassi prezzi, a partire da 5mila euro, mentre una Fiat 500 ne costa 30mila. La questione non è solo industriale ma sociale: se i salari restano bassi e una Fiat 500 elettrica costa 30mila euro, chi se la può permettere? Gli incentivi non bastano se la gente non ha i soldi. Caro Filosa anziché parlare al Governo, vieni a parlare negli stabilimenti, ai lavoratori, alle famiglie».
«Sapevamo che con l’elettrico si sarebbe ridotta del 30% l’occupazione a parità di volumi, ma non sono state introdotte gradualità – le parole di Boschini – La formazione resta indietro e gli stabilimenti rischiano di fermarsi. Responsabilità dell’Ue sì, perché avrebbe dovuto introdurre una transizione morbida nei confronti di chi deve pagarla. Ma Stellantis ha colpe proprie… Il “piano” Tavares di anticipare la transizione è fallito. Oggi la maggior parte degli stabilimenti è ferma, tranne Pomigliano e Atessa. Il costo esorbitante dell’energia ha fatto il resto, anche quello di mettere in stand by il progetto della gigafactory di Termoli. Le batterie, Stellantis, le ha messe in produzione in Spagna».

Dal mondo accademico è arrivato un richiamo all’innovazione. Inverardi ha spiegato che «in Abruzzo sono in corso progetti, anche con le università, per costruire nuove tecnologie che guardano all’elettrico e al futuro. Dobbiamo rafforzare le reti internazionali e creare poli di ricerca e trasferimento tecnologico: solo così il territorio può continuare ad avere una prospettiva di sviluppo».