Ci sono tradizioni che rivivono dopo due anni e, nel loro piccolo, riescono a far respirare un po’ di normalità. È il caso dell’antica Festa del Majo andata in scena ieri a San Giovanni Lipioni: un rito collettivo, un mix tra paganesimo e fede religiosa, che riprende un discorso interrotto bruscamente poco più di due anni fa. Del lontano febbraio 2020 – quando si registrarono i primi casi di Covid-19 nel Nord Italia – non sarà probabilmente possibile eliminare il prima e il dopo, ma eventi come questo riescono a creare un ponte tra i due riferimenti temporali.
La festa – che qui si lega al culto di Santa Liberata e San Giovanni Evangelista che con la processione mattutina vengono trasferiti nella chiesa di Santa Maria delle Grazie dove rimarranno fino a ottobre – ha origini antiche e si inquadra in quei momenti collettivi propiziatori comuni tra i centri rurali. Il Majo è una particolare croce ricoperta da ciclamini, simbolo di prosperità e augurio di protezione per il raccolto. La preparazione inizia il giorno prima, quando i volontari della Pro Loco presieduta attualmente da Mattia Rossi, raccolgono i fiori nei boschi circostanti; questi vengono poi raggruppati in mazzetti che decoreranno la ghirlanda/croce.
Nel primo pomeriggio del 1° maggio, dopo la partenza dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie, la ghirlanda viene portata dal corteo per le case del paese: è questo l’augurio di un buon raccolto che va avanti fino a sera, i mazzetti floreali vengono via via tolti dalla ghirlanda e donati alle famiglie. Gli stornellanti dell’associazione – accompagnati negli ultimi anni da una formazione musicale – intonano un tradizionale canto (in fondo all’articolo) che si arricchisce a ogni nuova visita di una o più strofe in rima contenenti i nomi (o i soprannomi) dei componenti della famiglia e un augurio/invito dedicato (inevitabile quest’anno l’ingresso di riferimenti alla pandemia). Le famiglie del paese ringraziano offrendo un banchetto per tutti i componenti del corteo (in passato venivano donate delle uova che dopo qualche giorno venivano usate per una frittata collettiva in piazza).
Alto il valore simbolico di questa tradizione per la comunità di uno dei paesi d’Abruzzo più colpiti dallo spopolamento (138 residenti secondo l’Istat, molti di meno quelli effettivi). La ritrovata occasione post pandemica – come accadeva durante il prima – ha richiamato tanti sangiovannesi che, nonostante oggi vivano altrove, si sono prodigati con lo stesso impegno nella preparazione dei banchetti di ringraziamento. Nel piccolo centro della valle del Trigno non sono mancati i visitatori di altri centri, segnale della volontà di tornare a vivere tradizioni ed eventi aggregativi dall’insolito gusto di normalità.
Il canto del Majo
Ecche, ecche Maj’ Re de li Signure
la crona specchie dè la cumpagnìe
e venghe, venghe Maj’ e venghe di bonanne
Filippe e Giacume fùre li primi fiure
a Santa Croce vè a li tre dìe
Apprisse a Maj’ si ni ve la scienze
l’urie ha spicate e lu grane mo’ cumenze
e venghe, venghe Maj’ e venghe di bonanne
Patrone mi vàttine a la cantine
si ‘nin tì lu vicale porta la tine
Patrone mi vàttine a lu prusutte
si ‘nin ti lu curtille pòrtile tutte.
Patrone mi vàttine a lu nide
Si ‘nin trove l’ove port la galline
Patrone mi vàttine a lu lardare
taglie ‘ncime e guardite li mane.