«Sono orgogliosa di quello che ho fatto perché, insieme alle altre, abbiamo difeso fino alla fine il nostro lavoro e per noi allora era tutto». È così che Iolanda Cardinelli ricorda la rivolta delle tabacchine a Lanciano di cui fu protagonista insieme alle sue colleghe di allora.
«Al tempo eravamo noi a portare il pane a casa e non potevamo assolutamente perdere il lavoro per noi, per le nostre famiglie e per la nostra indipendenza e così non abbiamo esitato un attimo e siamo scese in piazza», dice a Chiaro Quotidiano. Allora l’Azienda tabacchi, nella primavera del 1968, comunica che l’anno successivo una buona fetta delle dipendenti sarebbe stata rimandata a casa perché, a causa della modernizzazione dei sistemi di lavorazioni del tabacco, si poteva fare a meno di 400 delle mille operaie impiegate nello stabilimento di viale Cappuccini a Lanciano.
Così il 29 maggio viene proclamato lo sciopero generale e nei 40 lunghi giorni di rivolta, alle tabacchine si uniscono studenti, operai di altre aziende, professionisti, insegnanti e tutta la città. «Il nostro non era più solo il nostro sciopero, ma era la rivolta di tutta Lanciano. – ricorda Iolanda – Abbiamo letteralmente messo sottosopra la città tra cortei, manifestazioni, sit-in in piazza Plebiscito e anche scontri con la polizia, ma non è stato vano».
Iolanda viene da una famiglia numerosa, umile, che non aveva potuto permettersi di farla studiare come forse le sarebbe piaciuto e allora, dopo il matrimonio, a 19 anni, si trova quasi costretta al lavoro come tabacchina. «Ho iniziato a lavorare all’ATI come profuga di Tripoli, infatti è lì che sono nata. – racconta – Il lavoro era duro e avevamo addosso, sempre, il forte odore di tabacco e quando entravamo nei negozi per fare la spesa dopo i lunghi turni di lavoro, ce lo facevano notare sempre e per noi era anche un po’ umiliante». Ma ciò che poteva sembrare umiliante, in realtà, era ciò che le dava dignità; così giovane, donna, era autonoma ed indipendente e la sua famiglia poteva contare su di lei. Per questo, non c’è stato neanche un attimo di esitazione sulla partecipazione allo sciopero anche perché «o partecipavano tutte o nessuna».
Essere indipendenti economicamente vuol dire essere libere e per una donna non era, e non è, così scontato.
«Di notte si dormiva sulle casse di tabacco e di giorno, – ricorda ancora Iolanda – una buona metà restava fuori a fare la protesta vera e propria e le altre, le più schive, restavano dentro a darsi da fare in altro modo». Un mondo, quello dietro il portone dello stabilimento di viale Cappuccini, fatto di donne che allattavano, che cucinavano per tutte e davano il loro sostegno allo sciopero, lasciando a casa le famiglie, forti delle loro motivazioni.
«Abbiamo dato fuoco al palazzo delle Poste perché, a differenze di altri, nessuno aveva voluto unirsi al nostro sciopero. – dice Iolanda a Chiaro Quotidiano – Abbiamo bloccato la ferrovia da San Vito per non lasciare più passare i treni, insomma, in 40 giorni ne abbiamo combinate tante, ma alla fine lo stabilimento non ha chiuso e l’ATI ci è venuta incontro evitando tutti quei licenziamenti».
E 54 anni dopo è ancora ben visibile l’orgoglio di chi si è resa protagonista di un pezzo importante di storia per Lanciano, per il lavoro e per le donne. «L’abbiamo fatto per garantire ai nostri figli una vita migliore della nostra. – conclude Iolanda – I miei due figli hanno potuto studiare e si sono laureati alla Bocconi di Milano e all’Orientale di Napoli. Io mi sono sacrificata per loro e anche se oggi qualche piccola delusione ha reso il mio cuore un po’ triste, se tornassi indietro lo rifarei altre mille volte: essere indipendenti economicamente vuol dire essere libere e per una donna non era, e non è così scontato».