Si complica il salvataggio dei tribunali: ora anche altre regioni vogliono riaprirli

Il campanilismo politico-giudiziario mette a rischio il salvataggio dei tribunali di Vasto, Lanciano, Avezzano e Sulmona. La soluzione definiva non sembra più così vicina come si pensava a inizio legislatura. E il termine dell’ultima proroga, 31 dicembre 2025, non è lontano. A rallentare l’iter parlamentare della proposta di legge sarebbe la pretesa di riaprire, in altre regioni, palazzi di giustizia chiusi ormai da 12 anni. Dalla maggioranza di centrodestra emergono le richieste di riattivare le corti chiuse in Veneto (Bassano del Grappa), Puglia (Lucera) e Calabria (Rossano Calabro). Col Mef (ministero dell’Economia e delle Finanze) pronto a chiedere conto delle necessarie coperture finanziarie.

La riforma

La riforma della geografia giudiziaria del 2012, mal digerita a ogni latitudine dello Stivale, ha scontentato tutte le regioni, chiudendo palazzi di giustizia anche in aree lontane dai capoluoghi di provincia. Lo ha fatto sulla base di meri parametri numerici: il numero delle sopravvenienze annuali (non meno di 5mila) e quello dei residenti nel circondario, ma anche partendo dal presupposto secondo cui, per il buon funzionamento di un presidio giudiziario, servissero almeno 20 magistrati tra requirenti e giudicanti. Al contempo, mentre tribunali in grado di smaltire il pregresso nonostante carenze d’organico venivano destinati alla soppressione e all’accorpamento con le sedi provinciali, la regola del tre (almeno tre tribunali di primo grado in ogni distretto di corte d’appello) consentiva di tenere aperti palazzi di giustizia che nemmeno lontanamente rispecchiavano i criteri fissati dalla legge. Vasto, Lanciano, Avezzano e Sulmona riuscirono a prolungare la vita delle loro sedi attraverso un emendamento presentato dall’allora senatore Giovanni Legnini. La motivazione fu legata al terremoto dell’Aquila del 2009 e all’inadeguatezza delle sedi provinciali a raddoppiare, di fatto, gli spazi.

Pochi abitanti, molta criminalità

Nei giorni scorsi un monito è arrivato da Bruno Giangiacomo, ex presidente del tribunale di Vasto e attuale sostituto procuratore della corte d’appello di Roma. I quattro processi scaturiti da inchieste della Direzione distrettuale antimafia sono il sintomo di quanto un circondario di appena 100mila abitanti sia esposto infiltrazioni criminali, è il concetto espresso dal magistrato che, pronunciando la sentenza del 20 settembre, si è congedato dal palazzo di giustizia di via Bachelet.

Soluzioni

Difficile, se non impossibile, far sopravvivere i tribunali in tutte e quattro le città non capoluogo. Per Vasto e Lanciano la prospettiva è l’accorpamento. È la soluzione prospettata dal coordinamento sorto tra avvocatura e politica abruzzese per condurre la battaglia. Un unico tribunale, due sedi con funzioni differenti: penale a Vasto, civile a Lanciano. Ma più i tempi si allungano e maggiore è il pericolo che in Parlamento spuntino richieste di riaprirne altri. Col Mef pronto, in nome del contenimento della spesa pubblica, a stroncare sul nascere ogni velleità.

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