Scrivo questa lettera per parlare di una storia che mi pesa raccontare.
Mi pesa per diversi motivi, dal fastidio che provo nel mettere in piazza qualcosa di personale che dovrebbe restare tale, e mi pesa perché in questo caso una parola sbagliata scatenerebbe altra rabbia e altro male. Mio padre non si è mai voluto abbastanza bene e oggi, a 69 anni, sta scontando ogni errore in lacrime, depressione e dolore.
Se dovessi partire dall’inizio servirebbe un romanzo ma non è necessario perché questa storia non è la sua vita ma una parentesi di pochi giorni nei quali ci siamo imbattuti nel il sistema sanitario nazionale.
«Sapete cosa è il morbo di Haglund?» È una calcificazione ossea che si forma sotto il tendine d’Achille provocando un dolore cane, è come avere degli speroni sotto il tendine e mio padre ne aveva tre. Non è stato facile trovare un chirurgo specialista del piede per fare l’operazione ma dopo diverse vicissitudini ci siamo purtroppo riusciti.
Il due luglio viene operato in una clinica privata sovvenzionata dalla Asl vicino Pescara che nel giro di meno di 24 ore lo dimette con una complicata convalescenza di 45 giorni. «Non sono un medico e non so se i tempi così rapidi nelle dimissioni siano normali ma è così per tutti. Prima dimetti e prima operi il prossimo paziente. Le cliniche private fatturano».
Troviamo una struttura a pagamento per fargli passare questo periodo in sicurezza dato che pur essendo invalido al 100% e senza reddito non gli spetta niente e il piede operato non deve toccare terra altrimenti parte il tendine. Qui vengono seguite le indicazioni date dal chirurgo: antibiotici, antidolorifici, medicazioni… semplice.
Sembra andare tutto bene, il chirurgo che lo ha operato dice che non sono necessarie visite di controllo e che due medicazioni totali nei 45 giorni possono bastare… la ferita s’infetta. Un’ulcera con tessuto necrotizzato mangia letteralmente i punti, si apre il punto dell’operazione 5 cm x 6cm, il chirurgo che lo ha operato ad oggi non lo ha mai visto ne visitato, la clinica vicino Pescara dove lui opera è in ferie e lui non può far altro che consigliare un appuntamento con il chirurgo plastico dell’ospedale di Pescara.
Porto mio padre al pronto soccorso di Vasto e dopo svariate ore un medico mi chiede: «Posso parlare con il chirurgo che lo ha operato?».
Gli do il telefono in chiamata e succede qualcosa d’inaspettato appena i due si sentono: «Lei ha operato un paziente e lo ha abbandonato a se stesso senza visita di controllo, la situazione è grave o interviene o spiego al figlio come muoversi legalmente nei suoi confronti». Mi ridà il telefono e dopo due minuti vengo contattato dal chirurgo che mi dice: «Sto organizzando una visita con il chirurgo plastico ti faccio sapere quando devi andare!».
Ringrazio e andiamo via, intanto mio padre è stato almeno medicato. Il giorno dopo mio padre ha la febbre, non sta affatto bene e l’appuntamento non è ancora stato fissato quindi lo carico in macchina e andiamo al pronto soccorso di Pescara. Ci danno un codice giallo e dopo qualche ora viene visto da un dottore che mette immediatamente le mani avanti: «Se pensi di riuscire a farlo ricoverare puoi anche andare via direttamente». Perdo la pazienza e inizio un’accesa discussione che a qualcosa porta, ad una visita dal chirurgo plastico, la stessa consulenza che il chirurgo cercava di farmi avere.
La diagnosi è drammatica: «La ferita va trattata in fretta perché si rischia l’amputazione del piede o peggio, la morte del paziente per patologie impronunciabili».
Questo però non richiede un ricovero ma bisogna portare il malato a fare tamponi all’ospedale di Vasto per individuare i batteri, bisogna poi riportarlo Pescara per non ricordo cosa, medicazioni fatte a casa e… e qui la rabbia si palesa: «Dottore… o sta rischiando di morire o si può trattare a casa, le due cose a mio avviso non stanno assieme. Mio padre vive solo, pesa 40 kg per anoressia e non è gestibile».
Ovviamente questa è la mia stupida opinione, il doc è irremovibile: «Non verrà ricoverato!», ma consiglia anche lui di muoverci legalmente contro il chirurgo che lo ha operato perché dice: «Le cliniche private operano, prendono i soldi dalla Asl e abbandonano i pazienti. Questi sono i risultati, non hai idea di quanti ne vediamo, all’ordine del giorno ed è la sanità pubblica che deve intervenire perché le cliniche private se ne lavano le mani».
Torniamo al pronto soccorso emotivamente devastati, fortunatamente lui, mio padre, non ci sente benissimo e si perde gran parte di quanto viene detto, capisce benissimo solo una cosa: «Non lo vogliono».
Il dottore del pronto soccorso, lo stesso della prima discussione, dopo aver letto l’ultimo referto del chirurgo plastico si passa una mano sulla coscienza e ci manda in Ortopedia per un’altra consulenza. L’ortopedico riconosce la gravità del fatto ma è meno drammatico però fa qualcosa di più, trova una strada per un ricovero organizzando una consulenza con il reparto di Malattie infettive, del resto è li per un’infezione.
Dalle 10 del mattino alle 23 della sera vaghiamo per l’ospedale di Pescare e finalmente ottiene il ricovero dentro il pronto soccorso. «Dentro il pronto soccorso» significa in un corridoio con tante brandine affilate, gente frenetica che lavora in una situazione che avevo visto solo in tv. «Il ricovero è un piacere, va preso come uno slancio di umanità nei nostri confronti».
In due giorni gli fanno tutte le analisi necessarie, lo tengono sotto antibiotico e nuovamente viene dimesso con un appuntamento in Ortopedia all’ospedale di Vasto per una nuova consulenza e… e si riparte dal via come in un gioco da tavola.
Non ho raccontato questa storia per ottenere pietà, parole di conforto ed empatia, ma perché questa è la normalità, ed è giusto che tutti sappiano a cosa ognuno di noi potrebbe andare incontro. Ci siamo trovati tra medici che si rimbalzavano quello che descrivevano come: «Un problema da gestire», in mezzo all’astio tra il pubblico e il privato e nel mezzo di uno scaricabarile generale perché ogni paziente è visto prima come una risorsa economica da accaparrarsi e poi come una spesa da evitare.
Questo è il funzionamento della sanità nel nostro paese ed è il risultato dei tagli subiti, delle politiche scellerate attuate in passato e di quelle, a mio parere criminose che intende attuare l’attuale governo. Vi auguro di stare sempre bene perché ammalarsi in Italia è diventato un lusso che non tutti possono permettersi.
Andrea Ianez