Liliana Centofanti: «L’Aquila è la mia seconda casa, e lo era anche per mio fratello Davide. Fare memoria è un atto di vita»

Tredici anni dopo, L’Aquila rinnova il ricordo della notte del 6 aprile 2009. Una notte che ha lasciato un segno indelebile nel cuore degli aquilani e degli abruzzesi. Memoria che quest’anno rivive nella tradizionale fiaccolata commemorativa che per due anni non ha illuminato le strade della città a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. Trecentonove i rintocchi del campanile della Chiesa di Santa Maria del Suffragio, uno per ciascuna delle vittime che alle 03.32 di quella notte, a causa della scossa durata 38 interminabili secondi, persero la vita sotto le macerie. Nel tredicesimo anniversario del sisma de L’Aquila, Chiaro Quotidiano ha incontrato Liliana Centofanti, la sorella di Davide, una delle 8 vittime del crollo della Casa dello Studente.

Liliana Centofanti

«Finalmente siamo tornati ad un importante momento di condivisione, di ritorno in quei luoghi simbolo – afferma Liliana commentando il ritorno alla fiaccolata -. Sicuramente in questi 13 anni è cambiato il modo di rapportarsi ai luoghi, alle persone, così come inevitabilmente è cambiata la vita dopo quel giorno. Quella del 6 aprile 2009 è una notte dalla quale non si può tornare indietro, ma è importante continuare a ricordare. Fare memoria non significa fare del vittimismo o fermarsi a quei 38 secondi. Prima di quei 38 secondi c’era una vita che andava avanti, che era in costruzione, come quella di Davide che aveva 20 anni ed era al primo anno di università. Dimenticare quella notte significa anche dimenticare quello che c’era prima. Fare memoria è un atto di vita».

Questo per Liliana è anche il primo 6 aprile senza zia Antonietta, scomparsa nell’aprile dell’anno scorso, con cui lei e sua madre Grazia hanno condiviso le battaglie per legalità e giustizia. «Raccogliere l’eredità di zia non è facile – afferma -. È lei che ha riportato l’attenzione su una serie di questioni che rischiavano di essere taciute ed è stata grandiosa anche nel fare rete con tanti comitati, che trattano tanti tipi di sofferenze e di negazioni di legalità». Battaglie che, in questi anni, hanno portato ad alcune risposte su quella notte ma, aggiunge Liliana, «è un iter che purtroppo non si è ancora concluso. Portare avanti i processi per così lungo tempo è una cosa che fa male. Mettere la parola fine a questi percorsi burocratici è un esempio di civiltà, perché darebbe la possibilità a chi rimane di riconquistare una sorta di dignità di un dolore privato».

E, parlando dell’Aquila, dice: «È una città in cui ho tantissimi ricordi, tanti amici, e a cui torno spesso a fare domande. L’Aquila non è stata solo il sisma, è una città che continuo a portare con me ovunque vada, è la mia seconda casa e lo era anche per Davide che lì si trovava benissimo e stava iniziando a costruire il suo futuro. È una città alla cui comunque vogliamo bene, è una città ferita, e magari anche nelle ferite che ci portiamo dentro ci riconosciamo. Per certi versi, è la mia città».

La commemorazione nella notte del 6 aprile [foto Comune dll’Aquila]

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