Ricordare anche se sempre più spesso la memoria non serve a evitare di commettere gli stessi errori. Si è tenuto sabato 4 novembre a Tufillo il convegno sull’80° anniversario della battaglia tra tedeschi e Alleati che nel 1943 sconvolse il paese e, più in generale, tutta l’area del Trigno dove i nazifascisti approntarono la Barbara Line, la linea lungo il fiume che doveva ritardare la risalita delle truppe angloamericane.
A ripercorrere quei giorni il sindaco e professore Ernano Marcovecchio, lo storico Giovanni Artese (autore di diversi volumi sulle battaglie nel territorio) e il docente dell’Unimol Fabrizio Nocera.
A emergere dalla cronaca degli eventi è soprattutto il dramma dei civili che in centinaia persero la vita sia a causa delle atrocità degli invasori nazisti, sia dell’azione degli Alleati. Sulle sofferenze della popolazione – che quotidianamente abbiamo davanti agli occhi in chiave moderna a causa dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente – si è concentrato in particolar modo Nocera: «Dobbiamo uscire dalla distinzione buoni/cattivi. Gli Alleati non usavano il termine “città liberata”, ma “occupata”; nei rapporti del tempo si legge il loro senso di superiorità verso gli italiani e la durezza delle direttive nei confronti della popolazione. Oltre alle note violenze commesse dalle truppe formate da marocchini in Lazio e ai bombardamenti che colpirono soprattutto civili si possono citare le centinaia di morti in incidenti stradali (soprattutto investimenti) provocati in tutta Italia da mezzi militari che, a causa dei rigidi comandi e tempi da rispettare, non si fermavano neanche per soccorrere le persone travolte. Questi si sommano ovviamente alle atrocità, alla razzie e alle stragi commesse dai tedeschi (di cui pochissime punite dopo la fine della guerra) che nei confronti degli italiani avevano anche il desiderio di vendetta per il tradimento ricevuto e ordini ben precisi sulla brutalità da usare».
La Battaglia del Trigno coinvolse truppe alleate composte principalmente da indiani e pakistani che avevano l’obiettivo di rompere la linea tedesca attestatasi sui paesi collinari della zona. Furono scontri sanguinosi con i tedeschi che, in netta inferiorità numerica ma forti delle postazioni in posizione elevata, riuscirono a tenere in scacco per giorni le ingenti forze alleate. In alcuni casi, come a Tufillo (dall’importanza strategica perché qui c’era l’unico ponte nel Medio Trigno che attraversava il fiume), si arrivò alla battaglia casa per casa, anche all’arma bianca, alle porte del paese con la popolazione terrorizzata rifugiata nelle cantine.
Episodi simili tornano a galla anche nelle parole di una delle poche testimoni dirette che ancora oggi possono contribuire al ricordo. Olga Berardini, maestra in pensione, all’epoca era una bambina, si trovava nella cantina di famiglia quando la scheggia di una granata (di cui è ancora visibile il buco sulla porta) colpì a morte un’altra giovanissima concittadina:
A dare la dimensione del dramma sono i numeri citati da Artese: nella battaglia del 2-3 novembre nel Basso Trigno (in particolar modo la fascia da San Salvo a Lentella) vennero usati 30mila colpi di artiglieria e ci furono 1.201 missioni aree alleate che colpirono le zone dei combattimenti e, soprattutto, le retrovie con centinaia di morti nei vari paesi (109 nella sola Cupello). Non a caso periodicamente riemergono testimonianze dal passato: proiettili, bombe e residuati bellici vari come monito sulla persistenza dei lasciti e dei rischi di un conflitto.
La battaglia del Trigno causò complessivamente 1.000 morti e 3mila feriti (solo a Tufillo circa 100 morti e 400 feriti tra gli Alleati, 40 morti e altrettanti feriti o dispersi tra le fila tedesche e una decina di morti tra i civili), in Abruzzo e Molise si conteranno dopo il passaggio del fronte 17mila morti e 60mila feriti.
«Purtroppo – le parole di Artese – a volte non basta la memoria per evitare di incorrere di nuovo in eventi di questo genere. La Seconda guerra mondiale per noi è stato un evento devastante, ne abbiamo tratto delle lezioni. Stiamo assistendo a una guerra in Medio Oriente e in Ucraina con un atteggiamento passivo, questo dispiace perché le popolazioni dovrebbero essere solidali con chi soffre. Nel territorio le battaglie durarono circa due settimane, ma furono molto impegnative per le popolazioni. Le popolazioni subiscono sempre gli effetti della guerra, come una calamità naturale. Si tratta sempre di una guerra totale, quindi una guerra soprattutto contro i civili».
Marcovecchio invece sottolinea l’occasione persa: «Qui la liberazione avvenne nella notte tra il 4 e 5 novembre 1943. È importante ricordare questi episodi dolorosi perché la memoria spesso scompare. La mia generazione non avrebbe mai sospettato che si potesse combattere ancora in Europa e questo è successo. L’Europa ha saputo operare una rivoluzione, è stata capace di sostituire accordi politici alle bombe, un continente che sulle macerie della guerra ha saputo guardare avanti. Questo dovrebbe indicare al mondo intero la strada da seguire, ma così non è».
In chiusura un riferimento a quanto sta accadendo in Medio Oriente: «Il termine “sterminare” detto da un israeliano è qualcosa di veramente assurdo e paradossale perché è come se parlasse colui che aveva cercato di fare un’operazione del genere nei loro confronti. È una sorta di interiorizzazione del male vissuto che sta facendo trasformando le vittime in carnefici di altre vittime».