Celebrare il 60° anniversario della tragedia del Vajont, riportare alla memoria una grande frana dimenticata e lanciare un monito per il futuro. A Tufillo, nel palazzo comunale, domani 9 ottobre, alle 21.30, andrà in scena Sulla pelle viva, «azione fatta di parole, di canto e di vento con sette donne del posto e una bambina».
L’iniziativa della Biblioteca comunale in collaborazione con il Comune prenderà il via con il 60° anniversario della tragedia del disastro del Vajont che costò la vita a circa 2mila persone per estendersi al ricordo di una grande frana che colpì il territorio di Tufillo tornata alla memoria grazie ad alcuni documenti ritrovati dal sindaco Ernano Marcovecchio.
L’evento di Tufillo si inserisce in VajontS 23, azione corale di teatro civile messa in scena in contemporanea in oltre 130 teatri dall’Alto Adige alla Sicilia e anche all’estero. Grandi attori e allievi delle scuole di teatro, teatri stabili e compagnie di teatro di ricerca, musicisti e danzatori, maestranze, personale dei teatri e spettatori arruolati come lettori si riuniranno nei posti più diversi, dallo Strehler di Milano ai piccoli teatri di provincia, ai luoghi non specificamente deputati al teatro come scuole, chiese, centri civici, biblioteche, piazze di quartiere e centri parrocchiali, e ciascuno realizzerà un proprio allestimento di VajontS 23 sulla base delle peculiarità del suo territorio. Tutti si fermeranno alle 22.39, l’ora in cui la montagna franò nella diga, a Tufillo suoneranno le campane della chiesa, grazie alla collaborazione del parroco, don Rino.
Ispirata alla figura di Tina Merlin e a Il racconto del Vajont di M. Paolini e G. Vacis, lo spettacolo – a cura di Rosanna Sfragara, attrice veneta, da poco stabilita in Abruzzo – prenderà corpo con Federica Benemeo, Lorella Ferrara, Carmen Lupardi, Francesca Marino, Rosanna Marino, Carla Robertson, Marisa Sulpizio, Chiara Di Marco e Sofia Chiara Intoschi,
Sfragara ha risposto all’invito di Paolini chiamando a sua volta a raccolta il paese di Tufillo. La risposta generosa non si è fatta attendere: l’assessora, l’operaia, la dottoressa, la maestra, la pastora, la cantante, la collaboratrice scolastica, riunite in biblioteca per le prove.
«Ci si allena alla lettura del testo corale, che alterna italiano e dialetto, cercando quel modo “duro, pulito” che ha il dialetto di Tufillo. Si cercano i canti più giusti, attingendo alla tradizione popolare abruzzese ma anche nel repertorio delle Ande che porta Carla, cantante boliviana da poco trasferita a Tufillo; si impara insieme Pentina, un canto popolare delle valli vicino al Toc, monte della tragedia del Vajont. Ma ci si documenta e si studia, anche, si guardano documentari, si leggono testimonianze dei sopravvissuti, si approfondisce la conoscenza di Tina Merlin, partigiana giornalista e scrittrice bellunese che prima denunciò il pericolo che i contadini dei paesi di Erto e Casso avvertivano nella costruzione della grande diga sotto il loro paesi e che rimase però una voce inascoltata. anche materiali».
Come detto, la celebrazione del 60° anniversario, è anche l’occasione per recuperare una memoria del paese che si era quasi persa: a fine ‘800, il territorio tufillese fu colpito da una grande frana che portò via un pezzo di montagna. Il sindaco ne ha ritrovato traccia in documenti e delibere e in alcuni toponimi. Nella serata del 9 ottobre ci sarà anche un piccolo tempo per condividerla con tutte le cittadine e i cittadini.
«La storia del Vajont rievocata in un’azione corale, non è più solo un racconto di memoria e di denuncia sociale, ma diventa una sveglia. Il racconto di quel che è accaduto si moltiplica in un coro di tanti racconti per richiamare l’attenzione su quel che potrebbe accadere. Quella del Vajont è la storia di un avvenimento che inizia lentamente e poi accelera. Inesorabile. Si sono ignorati i segni e, quando si è presa coscienza, era troppo tardi. In tempo di crisi climatica, non si possono ripetere le inerzie, non possiamo permetterci di calcolare il rischio con l’ipotesi meno pericolosa tra tante. Tra le tante scartate perché inconcepibili, non perché impossibili.