Le cime delle imbarcazioni intrecciate una a una a formare la coda di una balena. L’azzurro che richiama il mare Adriatico, distante qualche decina di metri, giusto lo spazio della spiaggia di Punta Penna. Si intola Tuffo l’opera d’arte dell’artista aquilana Emanuela Giacco che, da oggi, campeggia all’ingresso meridionale della Riserva naturale di Punta Aderci. Sta a simboleggiare lo spiaggiamento dei sette capodogli, che nove anni fa, il 12 settembre 2014, furono soccorsi da centinaia di volontari. Sforzi che riuscirono a salvare le vite di quattro cetacei, mentre per altri tre, tra cui una femmina incinta, non ci fu nulla da fare. Le loro ossa sono state seppellite in attesa di trovare ulteriori finanziamenti per ampliare il Museo diffuso del capodoglio, costato 70mila euro, realizzato grazie a un finanziamento regionale e inaugurato oggi pomeriggio. Oltre all’opera d’arte, il cammino prosegue con la passerella retrodunale parzialmente ripristinata, lungo la quale sono installate le bacheche che ricordano i momenti salienti di quel salvataggio che fu impegno collettivo.
In questo video le interviste a Emanuela Giacco e al sindaco, Francesco Menna:
«Questo – dice il sindaco, Francesco Menna – è un posto meraviglioso che va protetto e difeso. Lo spiaggiamento dei capodogli apre una seria riflessione sul rapporto tra uomo e natura. Quello che inauguriamo oggi è un monumento simbolo di una città che rispetta la natura e questo posto, in modo da lasciare alle generazioni future una testimonianza dell’accatuto e di uno spirito antico finalizzato a tutelare tutto e tutti».
La vicesindaca, Licia Fioravante, ricorda il lavoro di centinaia di persone «che sono riuscite a coordinarsi, a interagire per salvare quattro capodogli». L’inaugurazione di oggi «è solo l’inizio per ricordare e lasciare un segno di quell’evento su questa terra». Il prossimo obiettivo è «riuscire a ricostruire tutta la passerella retrodunale». Ha ascoltato le testimonianze di chi quel giorno c’era e non esitò a tuffarsi in mare per aiutare a trascinare i grandi cetacei verso il largo: «Mi hanno raccontato che i capodogli, coi loro occhi, cercavano gli occhi degli esseri umani. Ho ancora i brividi a ripensare a quei racconti». Cita alcune di quelle persone: «Nicolino Natarelli, che ha fuso il motore del suo peschereccio, Paolo e Fernando Sorgente, Alberto Baiocco, Carlo Pavone, Massimiliano Cocchino e tutti coloro che sono intervenuti per trainare i capodogli e consentire loro di riprendere il largo».
«Tutti noi vastesi – dice l’assessore all’Ambiente, Gabriele Barisano – ricordiamo cosa stavamo facendo quella mattina. Quella data è il nostro 11 settembre».
Pietro Smargiassi, il consigliere regionale che ha ottenuto dalla Regione Abruzzo i finanziamenti per creare il Museo diffuso, commenta: «Non credo sia mai capitato in questa città un momento di unione come quello. Ritenevo importante che questa città avesse un luogo della memoria».
«L’Abruzzo è stata la prima regione a dotarsi di una procedura da seguire in caso di spiaggiamento di cetacei», sottolinea Vincenzo Olivieri, presidente del Centro studi cetacei. «Il compianto sindaco, Luciano Lapenna, mi fece trovare un’unità di crisi e un tavolo tecnico già costituiti. Arrivammo a rimettere in mare quattro capodogli, che è un fatto assolutamente unico. Le carcasse sono seppellite in un luogo segreto, ma forse ci sarà una possibilità di recupero. Questo può essere il primo passo per creare un museo che faccia diventare Vasto la città del capodoglio».
Il comandante dell’Ufficio circondariale marittimo di Vasto, tenente di vascello Stefano Varone, elogia «il grande senso civico della popolazione» e ricorda che «la Guardia costiera intervenne anche con il reparto subacqueo».
«Quella mattina vidi un capodoglio che muoveva la coda», racconta l’armatore Nicolino Natarelli. «Chiamai gli altri pescatori e dissi: ‘Muovete tutte le barche’. Quella mattinata per me fu molto sacrificata, ma anche emozionante», poi rivela che un capodoglio salvato seguì il suo peschereccio fino all’interno del porto, allore dovette uscire nuovamente con l’imbarcazione «e mi seguì per tre miglia. Dovetti accelerare. Alla fine, si avvicinò a prua, poi a poppa, passò sotto la barca e non lo vidi più».
«Questo è un lavoro che ho svolto con emozione. Ho la pelle d’oca», dice Emanuela Giacco. «È bello vedere una comunità che si stringe attorno a ciò che è essenziale, che è la vita». Il significato dell’opera è «preservare tutto il creato». Il monumento è fatto con «cime che hanno solcato i mari, sono state strattonate dai marinai» e ora «regalano nuova vita alle opere d’arte». Si tratta del «legame perpetuo tra singolo e universo. Rappresenta una comunità coesa, che ha dimostrato di esserlo in questa azione. Si intitola Tuffo, quell’istante che è un inno alla vita».
Premiati con il Guerriero di Capestrano, onorificenza conferita dalla Regione Abruzzo e con l’attestato di merito del Comune di Vasto Nicolino Natarelli e Fernando Sorgente, balneatore che fu tra i primi a gettarsi in acqua. Tra questi ultimi c’erano anche Alberto Baiocco, Massimiliano Cocchino e Carlo Pavone, premiati anche loro con l’attestato di merito.