«Le pilastrate della piazza di Cupello erano solo una parte del progetto»

Di cosa parliamo Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato un intervento dell’ingegnere e architetto Giuseppe de Bellis, che chiedeva la rimozione dei colonnati di piazza Garibaldi, nel centro di Cupello (leggi). Oggi ospitiamo la replica di uno dei progettisti del complessivo progetto di riqualificazione della piazza, l’architetto Carmine Di Ienno.

Cupello, piazza Garibaldi

«Gentile redazione,

a proposito dei “colonnati della piazza di Cupello”, sono l’architetto che qualche anno fa ha provato, in condivisione con altri colleghi e l’amministrazione di allora, a dare una risposta alla necessità di riqualificare quella parte di città. Devo purtroppo dare qualche spiegazione al collega che, di sagra in sagra, è stato in questo caso disturbato da tanta “bruttura”, al punto di proporre la rimozione di quel “vil cemento armato”, in modo da restituire “dignità architettonica al contesto storico ambientale della piazza”, come se fossero i materiali a qualificare o meno forme e contesti.

Voglio tenermi lontano dalla polemica, anche perché sono certo che a nulla vale affrontarla con chi con tanta sicumera la propone. Devo però, come detto, dare un minimo di spiegazioni, non tanto perché sia stato richiesto, ma in difesa di quel rigoroso e faticoso processo seguito nel passaggio dal tema al progetto, dalla analisi alle scelte conseguenti, quasi come logica derivazione.

Naturalmente siamo anche tutti potenzialmente fallaci, giacché analisi e scelte progettuali, pur se affrontati con metodo, sono processi intellettuali il cui esito dipende strettamente da chi è chiamato ad occuparsene. Non è quindi detto che, pur partendo dalle migliori intenzioni, il risultato possa essere anch’esso il migliore possibile, di sicuro però non scaturisce dal capriccio di un artistoide, ma, come detto, da un metodo il cui fine è quello di cogliere il senso delle cose per affidarlo ad un progetto che lo traduca in sostanza, materiali e forme, a beneficio della collettività e anche del contesto.

La piazza era solo una parte del programma che si affrontava, l’obiettivo era infatti quello di ridare agli episodi più rappresentativi della città, come la piazza, la chiesa, il giardino, il palazzo comunale, un’importanza prioritaria nel contesto urbano, emancipata dal mero ruolo funzionale, spesso neanche appropriato, si pensi alla piazza declassata a parcheggio, così come esattamente era. Il conseguimento di tale obiettivo era affidato al ridisegno della piazza e delle strade che le fanno corona, al fine di creare un tessuto connettivo capace di dare ordine e armonia all’insieme, stabilendo anche una gerarchia diversa tra gli elementi, nella quale esisteva solo la facciata principale della chiesa.

Le “pilastrate” in definitiva volevano essere solo una parte del tutto, un tutto che si prefiggeva di partire dalla inevitabile negazione dell’esistente, tutt’altro che dignitoso, per riqualificarlo, utilizzando “anche” questi elementi che, se completati, con travi in acciaio e lastre di vetro a copertura, avrebbero avuto forma e funzione di “portico”, elemento squisitamente urbano, con un ruolo di quinta scenografica, imprescindibile nel nostro caso.

Tra i riferimenti culturali, mi piace citare “piazze d’Italia” di De Chirico.  

Infine, non intendo, e non credo sia utile, dilungarmi sui dettagli tecnici relativi al progetto nella sua interezza, dubbi e questioni possono essere soddisfatti con un “accesso agli atti” presso l’ufficio tecnico del Comune, il collega che ha aperto la polemica lo sa bene.

A margine faccio notare l’abuso della parola “borgo”, evidentemente tratto dal linguaggio dei media. Etimologicamente parlando, la parola borgo vuol dire centro fortificato, e Cupello non lo è. E’ un “paese”, in parte rovinato dalla speculazione degli ultimi decenni, ma che, a differenza dei borghi e paesi sparsi in Italia, non soffre al momento di fenomeni di abbandono; seguirne quindi il destino nel miglior modo possibile è una questione etica e civile, prima che architettonica e urbanistica in senso stretto.

Cordiali saluti,

Carmine Di Ienno»

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Comments 1

  1. Domenico says:

    Un plauso al collega Di Ienno anche se non ne ha bisogno. I colleghi che vanno per le sagre forse è bene che facessero solo quello. Perché chi non conosce la storia evolutiva di un luogo o di una architettura è bene che faccia silenzio.

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