Mercoledì 3 maggio i ragazzi del gruppo catechistico della Cresima di Gissi, con il parroco don Gianluca Bracalante, sono andati in visita al carcere di Vasto. I ragazzi hanno avuto l’occasione di conoscere una nuova realtà, spesso segnata dai pregiudizi, e di confrontarsi con insegnamenti di vita molto significativi. Nella struttura sono stati accolti dal cappellano don Silvio Santovito e dall’assistente sociale, la dottoressa Rossi, i quali hanno illustrato il loro ruolo nell’istituto e cosa fanno i detenuti, impegnati in diverse attività come la biblioteca, il corso di chitarra e i colloqui di lavoro.
Attraverso la lettura i carcerati riescono a scoprire nuovi mondi così possono vivere dei momenti di libertà, come se una parte di loro riuscisse ad evadere. Alcuni detenuti hanno raccontato la propria esperienza e perché si trovano in quel posto. I ragazzi sono rimasti molto colpiti dalla commovente testimonianza di V., un uomo di 45 anni che ha passato più della metà della sua vita in carcere, il quale ha il grande rimpianto di non aver potuto crescere la figlia, che ha lasciato da neonata e ora ha 19 anni, le manca disperatamente e si dispiace di non essere un degno padre. Ha colpito pure la testimonianza di un tossicodipendente che si è emozionato parlando di sé, ora sta bene ma gli è rimasto ancora addosso quel brutto periodo. I giovani visitatori hanno rivolto diverse domande ai detenuti, i quali hanno risposto con piacere. Le risposte hanno lasciato esterrefatti i ragazzi.
C’è un momento in cui siete felici?
Qui non si ha mai un momento veramente felice.
Come si vive in carcere?
Qui non si vive, ma si sopravvive. In carcere non si vive perché non c’è la libertà e la vita non è vita senza libertà.
Come hanno reagito i vostri familiari alla notizia della vostra incarcerazione?
Hanno provato dolore e dispiacere, ma anche sollievo perché hanno intravisto la speranza di un cambiamento.
Nel colloquio i detenuti hanno sempre fatto riferimento all’importanza del sapere, dello studio, al fatto che bisogna riflettere prima di agire, che è importante la libertà, che bisogna rispettare la legge e che occorre comportarsi correttamente.
I ragazzi, dalle risposte e dagli occhi dei loro interlocutori, hanno capito che a loro manca qualcosa, non di certo un telefono, un boccale di birra o un computer, ma a loro manca la felicità di avere qualcuno al proprio fianco: un familiare, un amico che noi abbiamo la fortuna di sentire e di vedere sempre, ma proprio grazie a questa mancanza riescono ad andare avanti. Tanti pensano che chiunque sbagli debba essere rinchiuso dietro delle sbarre e gettare via la chiave, non è facile valutare, molti detenuti, durante il cammino in carcere, portano la croce del rimorso.
«Questa esperienza fa comprendere il valore dei piccoli gesti quotidiani: per noi è scontata una passeggiata all’aria aperta, la possiamo fare ogni giorno; per noi è scontato leggere un libro, possiamo sceglierne uno e comprarlo quando vogliamo; per noi è noioso scrivere una lettera, c’è il cellulare con cui messaggiare. Nulla di tutto ciò è scontato, non ci rendiamo conto della bellezza delle piccole cose. I ragazzi, dopo l’incontro, sentono di aver abbattuto il muro del pregiudizio e che le persone detenute, nonostante tutto, sperano in un futuro migliore. I visitatori hanno ricevuto in dono un segnalibro, molto bello, con delle scritte significative e delle ali, la frase che li accompagnerà sempre: “Fare ciò che ami è libertà, Amare ciò che fai è felicità”».