Caos rinnovabili, «Dopo la sentenza del Tar del Lazio la legge regionale è da rifare»

Tutto da rifare o quasi. La sentenza del Tar del Lazio rimette in discussione la legge regionale abruzzese sulle Aree idonee che mirava a stabilire quali fossero le zone in cui poter installare gli impianti per produrre energia da fonti rinnovabili. Il tribunale amministrativo laziale (sentenza n. 9.155) ha censurato il Decreto del giugno 2024 con il quale lo Stato assegnava alle Regioni la pianificazione delle aree idonee e non idonee sulla scorta del quale, poi, qualche mese fa è nata la legge regionale.

A ripercorrere l’intricata vicenda è il Forum H2O: «Se il Tar da un lato ha ritenuto legittima la devoluzione alle Regioni del potere pianificatorio, anche con lo strumento della legge regionale (due punti fortemente contestati dalle aziende) dall’altro ha bocciato il decreto nella parte in cui non ha previsto criteri generali attraverso i quali le regioni avrebbero dovuto assicurare un’applicazione omogenea a livello nazionale dei principi contenuti nel decreto stesso. Ha quindi assegnato 60 giorni di tempo al ministero dell’Ambiente per formulare questi criteri».

«Le Regioni, quindi, dovranno riformulare (o formulare, visto che molte non avevano ancora legiferato al contrario dell’Abruzzo) le leggi regionali rispettando questi nuovi criteri. Oltre a questo punto centrale la sentenza contiene numerosi passaggi rilevanti. Se da un lato i giudici bacchettano le aziende quando vorrebbero avere mano libera per i massimizzare i profitti localizzando a loro piacimento i progetti dall’altro si spingono ad un’interpretazione delle aree non idonee quanto meno bislacca, di fatto sostituendosi al legislatore che aveva definito queste aree come, testualmente, “incompatibili” per gli impianti».

«Le aziende avevano chiesto di bocciare il punto del decreto circa l’incompatibilità (quindi ammettendo l’esistenza di un divieto tout court) ma i giudici rigettando il motivo di ricorso di fatto sono andati oltre e hanno fatto un favore ancora più grande alle società sostenendo che l’incompatibilità e la non idoneità in realtà non sono da considerarsi come dei veri divieti. Ecco, per i giudici anche nelle aree non idonee “incompatibili” si possono proporre progetti; non devono essere considerate del tutto vietate. Si decide di volta in volta. Le aziende devono solo sapere che ci sono alte probabilità che il progetto verrà respinto».

«A questo punto a nostro avviso vacilla anche il senso della lingua italiana – critica il Forum H2O – Quindi ci dovremmo aspettare qualche progetto di fotovoltaico anche a Campo Imperatore o di eolico alla Camosciara nei cuore dei parchi nazionali?»

«Due punti della sentenza invece ci danno ragione su altrettanti punti che erano stati al centro delle nostre osservazioni, non recepite, alla legge regionale abruzzese. Sui siti Natura2000 e le aree protette i giudici, bocciando il decreto, sottolineano che “ad esempio, non sono stati previsti criteri di valutazione tarati sulla tipologia di fonte rinnovabile e/o sulla taglia dell’impianto, non sono stati previsti criteri per valutare le situazioni di concentrazione di impianti FER nella medesima area ovvero di interazione con altri progetti o programmi, né sono stati previsti criteri per apprezzare adeguatamente specifiche aree, quali i siti Rete Natura 2000, le aree naturali protette, quelle caratterizzate da dissesto e/o rischio idrogeologico, ecc.”».

«Quindi si sostiene la centralità della questione, cosa che il consiglio regionale non aveva inteso fare assicurando una protezione rafforzata a questi siti. Il Tar ha poi rigettato il ricorso delle aziende che contestavano la legittimità di poter prevedere come aree non idonee anche le zone sottoposte a vincolo paesaggistico per la presenza di panorami di particolare bellezza e per l’esistenza di centri storici di particolare pregio. Sono i famigerati punti c) e d) del codice dei Beni Culturali che la Regione Abruzzo non ha voluto inserire tra le aree non idonee. In ogni caso il legislatore regionale, se non ci saranno passaggi al Consiglio di Stato, si dovrà confrontare con i nuovi criteri che lo Stato è chiamato ad adottare».

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