«C’è un modo democratico di fare la rivolta, votare». Sceglie queste parole il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini nella sua doppia tappa sansalvese per chiamare alla partecipazione per il referendum dell’8 e 9 giugno.
Dopo la partecipata assemblea nella mensa della Pilkington, Landini ha raggiunto piazza Papa Giovanni XXIII. Qui nell’iniziativa moderata dal direttore de Il Centro, Luca Telese, si sono alternate le testimonianze di lavoratori precari e di chi vive sulla propria pelle gli effetti di quelle leggi che il referendum mira a cancellare, come la giovane Riham, salita sul palco senza esitazioni per sottolineare i disagi e le difficoltà per essere figlia di immigrati nonostante sia nata e cresciuta in Italia.

Prima del dialogo tra Telese e Landini, spazio ai saluti istituzionali dell’assessora regionale Tiziana Magnacca e del presidente della Provincia di Chieti, Francesco Menna. In piazza, anche alcuni amministratori di Vasto e del territorio e il sindaco di Chieti, Diego Ferrara.
Nel dialogo con Telese, Landini ha ricordato l’importanza delle lotte del passato che hanno permesso alle generazioni venute dopo di godere dei diritti oggi così lontani: «Io ho vissuto su di me cosa significa avere dei diritti. Io la precarietà personalmente non so cos’è, non l’ho mai vissuta, perché quando ho iniziato a lavorare, allora, banalmente, sono andato in un ufficio di collocamento pubblico, mi hanno detto “c’è un’azienda che cerca un’apprendista” e mi hanno assunto. Non ho dovuto avere raccomandazioni, non mi hanno chiesto di chi sei figlio, ho vissuto su di me che il lavoro era un diritto. E quando sono andato a lavorare ho visto che c’era un contratto, prendevo uno stipendio, ho addirittura scoperto che avevo diritto a fare le assemblee, addirittura potevo anche scioperare, l’ho vissuto su di me, ma quei diritti lì mica li avevo conquistati io».

«Quei diritti lì io me li son trovati perché quelli prima di me, che quei diritti non li avevano, li hanno ottenuti, oggi questo il tema. Io mi rendo conto che oggi i giovani vivono un livello di precarietà che non ha precedenti ed è anche nostra responsabilità se questo è avvenuto. La domanda che mi pongo e che ci dobbiamo porre è “Ai giovani quale mondo vogliamo lasciare?”, quel mondo che se gli dici che il lavoro è un diritto, non sa cosa sia perché sta vivendo su di sé un livello di sfruttamento che pensa che il lavoro è quella porcheria lì che oggi tanto debbono vivere di precarietà, di competizione con qualcun’altro?».
«La solidarietà vuol dire che quelli che stanno un po’ meglio devono essere pronti a battersi perché chi sta peggio venga fuori da quella condizione lì e, se vogliamo dare un futuro ai giovani, abbiamo bisogno di cancellare queste leggi balorde che aumentano la competizione tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare».