Il rito di 12 secoli fa: l’Ufficio delle tenebre per concludere il Venerdì Santo

Il suggestivo rito dell’Ufficio delle tenebre ha concluso ieri sera la celebrazioni del Venerdì Santo. Nella piccola chiesa di Santa Filomena, incastonata nello storico Palazzo Genova Rulli, il parroco di Santa Maria Maggiore, don Domenico Spagnoli, ha celebrato il cerimoniale cui hanno preso parte attiva la confraternita del Sacro Pio Monte dei Morti e il coro polifonico Stella Maris. Fa parte della più antica tradizione cattolica, le prime testimonianze dell’Ufficio delle tenebre risalgono al IX secolo.

Video di Nicola Cinquina

Il rito

Si dà comunemente il nome di “Tenebre” ai Mattutini ed alle Lodi degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, perché vengono celebrate al mattino presto, prima del levar del sole. Prima dell’ultima riforma, la Chiesa anticipava, come nel nostro caso, il Notturno al pomeriggio della vigilia, per permettere ai cristiani di parteciparvi.

Durante il rito, presso l’altare, si colloca un grande candeliere di forma triangolare, dove si dispongono quindici ceri che si spengono al termine di ogni salmo. Alla fine ne rimarrà acceso uno solo, quello posto al vertice del triangolo, simbolo della luce del Cristo Redentore che non si spegne né svanisce, nonostante la sofferenza e il dolore del Calvario. Siamo nei giorni in cui la gloria del Figlio di Dio rimane eclissata a motivo della sua Passione.

Egli era la «luce del mondo», potente in opere ed in parole, accolto nella domenica delle Palme dalle acclamazioni di tutto un popolo; ed ora eccolo spogliato di tutte le sue grandezze e divenuto «l’uomo dei dolori», come dice il profeta Isaia. Tutti si allontanano da Lui: Pietro stesso nega d’averlo conosciuto. Tale abbandono, pressoché generale è figurato nell’estinzione successiva dei ceri che stanno sul candelabro triangolare. Le lettere dell’alfabeto ebraico, che separano le strofe delle letture tratte dal libro del profeta Geremia, indicano la forma acrostica che questo poema contiene nell’originale.

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