Secondo quanto emerge dalle elaborazioni Cresa (Centro Studi dell’Agenzia per lo Sviluppo della Camera di Commercio del Gran Sasso d’Italia) dei dati Istat pubblicati il 13 marzo scorso, nella media del 2024 prosegue, attenuata rispetto all’anno precedente, la crescita del numero di occupati in Abruzzo (+5,8mila, +1,1% rispetto al 2023 inferiore al +1,5% italiano), la cui stima si attesta a 508mila unità (296mila uomini e 212mila donne). L’aumento ha interessato la sola componente maschile (+6 mila pari al +2,0%) mentre quella femminile riporta una lieve flessione (-200 unità, -0,1%).

La crescita dell’occupazione interessa in particolar modo i dipendenti a tempo indeterminato (+12 mila, +3,9% in un anno a fronte di un +3,3% italiano) e, al contrario di quanto si osserva nel Paese, gli indipendenti (+6 mila, +5,7%), a fronte della riduzione dei dipendenti a termine (-13 mila, -16,5%).
Il tasso di occupazione sale al 62,1%, allineato al 62,2% nazionale (+0,7 punti percentuali in un anno) e si attesta per gli uomini sul 72,0% superiore al 71,1% nazionale (+1,4 p.p. doppio rispetto al +0,7 p.p. del Paese) e per le donne sul 52,1%, +0,1 p.p. su base annua (Italia: 53,3% e +0,7 p.p.)
Nel 2024 diminuiscono, anche se in modo meno incisivo di quanto si osserva nella media nazionale le persone in cerca di occupazione (-5 mila, -12,0%; Italia: -14,6%) che scendono a 39mila (20,9 mila uomini -11,4% e 17,7 mila donne -12,7%); a contrarsi sono gli ex-occupati (-24,1%) e gli inattivi (-17,9%), al contrario aumentano quelli senza precedente esperienza di lavoro (+28,7%).

Il tasso di disoccupazione cala di 1,0 punti rispetto al 2023, ma si attesta comunque al di sopra di quello nazionale (7,2% contro 6,6%). Superiori sono i valori di entrambi i generi: il tasso di disoccupazione maschile riporta una flessione su base annua analoga a quella italiana (intorno ai -1 p.p) ed è del 6,7% (Italia: 6,0%.); quello femminile è del 7,9% contro il 7,5% nazionale in calo rispetto al 2023 di 1,1 p.p. contro i 1,4 p.p. del Paese.
A differenza di quanto si osserva a livello medio nazionale, prosegue la diminuzione, sia pur in forte rallentamento rispetto al triennio precedente, degli inattivi di 15-64 anni (-400mila, -0,1% in un anno) che si attestano sui 262,8mila (91mila uomini e 172mila donne). La variazione positiva, determinata in regione da una flessione della componente maschile (-2mila) quasi completamente compensata da un aumento di quella femminile, è sintesi degli aumenti di coloro che non cercano e non sono disponibili a lavorare (+1,1mila, +0,5%) e di quelli che cercano lavoro ma non sono disponibili a lavorare subito (+2,1mila e +81,1%)e dei cali delle forze di lavoro potenziali (-1,5mila, -3,7%), ossia della componente degli inattivi più vicina al mercato del lavoro, e di coloro che non cercano ma sono disponibili a lavorare (-3,6mila e -9,7%).

Il tasso di inattività, stabile rispetto all’anno precedente, si attesta sul 33,1%, 0,2 p.p. al di sotto della media nazionale con un valore della componente maschile quasi doppio rispetto a quella femminile (22,8% inferiore al 24,4% italiano contro 43,4% superiore al 42,4% nazionale)
La situazione nelle province
Sono L’Aquila e Pescara a mostrare nel complesso i migliori andamenti dei principali indicatori del mercato del lavoro con quest’ultima che riporta variazioni della componente femminile migliori di quella maschile. L’Aquila registra, infatti, aumenti degli occupati di 7,1mila pari al +6,6% (5,4mila uomini e 1,8mila donne) e Pescara di 4,6mila che corrisponde al +3,7% (-500 uomini e +5,1mila lavoratrici), e diminuzioni degli inattivi di -3,2mila pari al -5,2% (-2,3mila uomini e -900donne) e di 2,3 mila che corrisponde al -3,6% (+1,9mila uomini e -4,2mila donne)
Per quanto riguarda i disoccupati è sempre la provincia in cui ha sede il capoluogo di regione a riportare la maggior contrazione (-32,0% che corrisponde a -3,5mila di cui -2,9mila maschi e -700 femmine) mentre il pur buon risultato di Pescara (-19,0% pari a -2,4mila di cui -1,5mila uomini e -900 donne) è sopravanzato da quello di Chieti che riporta un calo del 22% vale a dire -2,5 mila persone di cui -900 maschi e -1,6mila femmine. Chieti fa registrare anche una sostanziale stazionarietà degli occupati (-0,4%, -600 persone di cui +1,8mila lavoratori e -2,4mila lavoratrici) e un aumento del 4% degli inattivi (+3,1mila unità di cui -800 maschi e +3,9mila femmine).

Non buoni i risultati di Teramo: gli occupati diminuiscono del -4,3% che corrisponde a -5,4mila persone di cui 700 uomini e 4,7mila donne, gli inattivi aumentano di 2mila unità (+3,3%) per la crescita di 3,3mila inattive e i disoccupati di 3,2mila (+35,8%) di cui 2,6 milamaschi.
Fanno registrare i tassi di occupazione più elevati L’Aquila (63,3%) e Pescara (63,2%) seguite a distanza da Chieti (61,4%) e Teramo (60,5%). Sono, inoltre, Chieti e L’Aquila, con il 5,9% e il 6,2%, a riportare i valori più bassi del tasso di disoccupazione, Pescara e, soprattutto, Teramo quelli più elevati (7,5% e 9,4%). Per quanto riguarda l’indicatore dell’inattività primeggiano Pescara (31,7%) e L’Aquila (32,5%) e si posizionano in coda Teramo con il 33,2% e Chieti con il 34,7%.
Il mercato del lavoro giovanile
Nonostante il buon andamento generale del mercato del lavoro regionale non si può non rilevare che permane e, anzi, si aggrava sempre più il problema della prevalenza assoluta e crescente delle fasce anziane della popolazione e di una presenza sempre più esigua di quella giovanile. La questione, in realtà, riguarda tutta l’Italia ma si prospetta in modo particolarmente grave nel Meridione e ancor più in Abruzzo. Anche considerando il breve lasso di tempo che intercorre tra l’anno prepandemico e il 2024 si osserva che in regione il peso percentuale dei lavoratori tra i 50 e i 65 anni aumenta di 3 punti percentuali passando dal 37% al 40%, quelli tra i 15 e i 34 anni diminuisce di 1 p.p. (dal 22% al 21%).
«L’argomento, la cui genesi è certamente da rintracciarsi nell’allungamento del percorso lavorativo ai fini del contenimento della spesa pensionistica che ostacola l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani, fa sorgere preoccupanti interrogativi sulla capacità di sviluppo e crescita di una società tecnologica nella quale la forza lavoro è anziana e, quindi, in qualche modo “obsoleta“ e sulla sostenibilità futura dell’attuale sistema di welfare e, quindi del benessere dei cittadini», la conclusione del Cresa.