Pubblichiamo il resoconto scritto da Giulia Del Re, Beatrice Pizzuto e Florian Lapenna sull’iniziativa “Costruiamo ponti, non muri” dell’Iis Mattei di Vasto.
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«Nelle giornate del 17 e del 18 febbraio si è tenuto nella nostra scuola, E. Mattei di Vasto, il progetto di educazione civica intitolato Costruiamo ponti, non muri. Quello che ci si aspettava era una abituale lezione volta a donarci i valori principali dello stare in una comunità, ma le aspettative create sono state demolite dall’esatto momento in cui abbiamo messo piede nell’aula magna del nostro istituto: ci siamo ritrovati davanti a testimonianze, fino a prima impensabili, davanti a parole talvolta crude e a cuori di chi è disposto a ricominciare una vita da zero qui in Italia».
«Questa rinascita parte da persone ben precise che in equipe lavorano non solo per gestire le fasi di prima accoglienza, ma per costruire ponti culturali tra la comunità di partenza e quella
di arrivo. Il SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) dimostra che un sistema di accoglienza eYicace non si misura solo nella capacità di oYrire un riparo, ma nella possibilità di costruire percorsi concreti di emancipazione. L’inclusione non è dunque un atto unilaterale, ma il risultato di un lavoro collettivo che permette alle persone di essere non semplici destinatari di aiuti, bensì nuovi cittadini consapevoli e partecipi della società che li accoglie.
Parole come cura, integrazione, straniero e uguaglianza sono l’emblema di questo mondo; appaiono come parole così distaccate tra loro, mondi a parte divisi da muri invalicabili, mentre, in realtà, non sono altro che parole che, come se poste sul tabellone di Scarabeo, si uniscono tra loro e vengono abbracciate, racchiuse sotto un unico grande tetto, un’unica grande parola: immigrazione. Il fenomeno dell’immigrazione è un fenomeno ad oggi fin troppo volutamente oscurato; un fenomeno azzittito in quelle onde, in quelle lacrime, in quelle speranze e reso muto da tutti quelli che pongono orecchio su questioni di gran lunga più futili di questa. Il contesto è spesso quello dell’ignoranza di fronte alla situazione, della poca importanza che le si
conferisce, dell’assenza di tutte quelle onde che, giorno dopo giorno, dovrebbero trasportare sogni e non rigettarli indietro, dovrebbero spingersi sempre più avanti per arrivare alla realizzazione di tutte quelle speranze che si racchiudono dietro agli occhi ludici di chi le custodisce.
Durante queste giornate noi ragazzi del Mattei ci siamo messi in ascolto, abbiamo connesso i nostri cuori a coloro che pensavano di averlo perso e abbiamo capito come l’accoglienza, la
cura verso il prossimo, l’interesse, l’aiuto siano molto più di ciò che conosciamo. Prima di questo incontro, la nostra idea riguardo cosa significasse realmente essere un migrante era un’idea superficiale: nella nostra mente passavano come in sequenza gli sbarchi, le immagini e i video trasmessi ai telegiornali, i viaggi difficili, le notti al freddo raggomitolati solo attorno a una coperta, quei bambini che guardano il mondo con gli occhi persi, ma, dopo la presa coscienza, abbiamo compreso come dietro ogni volto ci sia una storia che non conosciamo, un passato che è un presente fatto di ostacoli e un futuro fatto di incertezze.
Abbiamo capito come e quanto sia difficile sentirsi parte di un tutto, come il cuore risponda a dei cambiamenti drastici e come la mente ne risenta; come l’uomo, al di fuori del suo ambiente denominato “casa”, si senta straniero, si senta diverso. Tutto questo perché, in fondo, chi scappa dalla sua terra non lo fa per scelta, ma per necessità. La necessità di ritrovare una terra in cui i fiori crescano ancora, in cui le paure siano quelle del buio e nondelle bombe o della morte, in cui la tristezza sia quella per un brutto voto e non per la perdita di un caro. Grazie agli incontri fatti e alle parole ascoltate, abbiamo risentito nella nostra anima un qualcosa che il nostro paese non provava da un po’ di tempo: l’empatia. La lontananza verso casa, il superamento degli ostacoli, le possibilità che si colgono sono tutte parti del processo che viene a crearsi grazie alle persone che abbiamo incontrato: le colonne portanti del Consorzio Matrix.
Abbiamo riscoperto il vero significato di integrazione che nasconde, dietro queste 12 lettere, un mondo a colori fatto di figure come quelle di psicologi, avvocati, mediatori linguistici, insegnanti di italiano, educatori che tentano di fare di quel bicchiere frantumato in mille pezzi, un calice di rinascita. È un po’ come coltivare una passione: la passione per la vita. Richiede tempo, cura, attenzione e sicuramente aYetto, lo stesso che va donato a chi da certe esperienze è rimasto segnato. La rinascita è un po’ come riaccendere una luce in occhi che vedono buio da molto, che sono magari nati nel buio e che non hanno mai avuto l’opportunità di vedere le stelle che la vita oYre. Spesso si vedono i migranti come gli stranieri quando in realtà non sono che sconosciuti da scoprire, esattamente come ognuno di noi, l’uno con l’altro. Straniero e sconosciuto sono facce della stessa medaglia esattamente come noi con loro, tutti parte di uno stesso mondo. Tutti aventi le stesse necessità, la necessità di amore e cura».