Tagli per oltre 30 milioni e mezzo di euro in cinque anni ai Comuni abruzzesi. È quanto emerge dall’elaborazione dei dati fatta da Ali Abruzzo dopo che la Conferenza Stato-Città del 23 gennaio 2025 ha raggiunto un’intesa sui criteri e sulle modalità di ripartizione dei minori trasferimenti.
Nel dettaglio, sono previsti circa 3 milioni di tagli per il 2025 che salgono a oltre 5,8 milioni dal 2026 al 2028, per poi salire ulteriormente a 10 milioni di euro nel 2029. Tra i Comuni quelli maggiormente penalizzati in termini assoluti ci sono L’Aquila con 3,8 milioni, Teramo con un taglio di 1,4 milioni, Celano con un ammanco da un milione di euro, Montesilvano con oltre 900mila euro. In provincia di Chieti spiccano 688mila euro in meno per Lanciano, 501mila euro per Francavilla al Mare, 442mila euro per Ortona e 335mila euro per San Salvo (in basso, la tabella con tutti i Comuni della provincia di Chieti).
I Comuni interessati in Abruzzo sono 291. Come spiega Ali Abruzzo, «sono esclusi dai tagli gli enti in dissesto finanziario, gli enti in procedura di riequilibrio finanziario e gli enti per i quali il periodo di risanamento di cinque anni ex art. 265, comma 1, del Tuel, è terminato, ma l’organismo straordinario di liquidazione è ancora insediato».
Ma l’analisi evidenzia un altro dato, cioè quello del taglio pro-capite che penalizza i piccoli paesi: «Analizzando i dati emerge invece una forte disparità tra i territori: i comuni più penalizzati sono Lettopalena con un taglio medio di 309 euro ad abitante, Pietracamela con 297 euro, Collarmele con 267 euro, Cansano con 240 euro ad abitante. In generale i più colpiti sono proprio i piccoli comuni: nei primi 20 più colpiti non c’è un paese sopra i 2.000 abitanti. Per fare un esempio il taglio medio sul capoluogo dell’Aquila è di 55 euro ad abitante».
«Prendono corpo i nostri peggiori timori – dice il presidente di Ali Abruzzo, Angelo Radica – da tempo denunciamo i tagli, ora questi diventano realtà e saremo noi sindaci a dover spiegare alle persone perché abbiamo dovuto ridurre i servizi sociali, aumentato i costi della mensa nelle scuole, ridotto i contributi per gli affitti o altro».
«Formalmente si tratta di un accantonamento obbligatorio di risorse, quindi oltre al danno anche la beffa: i comuni saranno costretti a tenere fermi in cassa soldi che invece potrebbero spendere per le loro collettività – aggiunge il direttore Alessandro Paglia – Rimane aperta inoltre la questione delle aree marginali, i piccoli comuni, che già fanno una fatica enorme a tenere in piedi la macchina amministrativa e che vengono tartassati in modo davvero poco comprensibile».