La recente scomparsa – avvenuta il 25 ottobre 2024 – dell’architetto Giuseppe Carulli mi ha indotto a ripensare e a tornare sui temi relativi alle questioni urbanistico-architettoniche a San Salvo, tanto importanti quanto sostanzialmente elusi negli ultimi due decenni.
Eppure San Salvo è una località che è passata dai 4.503 abitanti del 1961 ai 17.261 del 2001, ai 20.184 del 2017, per poi stabilizzarsi intorno ai 20.000 negli anni seguenti. Una località che, trasformandosi da paese a cittadina, ha subito un vero e proprio trauma attraverso l’espansione infrastrutturale ed edilizia, passando da una superficie occupata di una quindicina di ettari – nel 1961 – ad una di 77 ettari nel 1977, di 210 ettari nel 1981 e di oltre 400 ettari nel XXI secolo (tra città alta e marina).
La generazione di Giuseppe Carulli, nata quasi interamente tra il 1948 e il 1957, è stata peraltro quella che – in età repubblicana – si è maggiormente occupata delle problematiche urbanistiche (limitatamente anche architettoniche), in quanto la più impegnata dal punto di vista politico-culturale e la più attenta alle trasformazioni economiche e sociali della comunità locale. Non a caso si è battuta in ambiti diversi ma complementari: per l’uguaglianza e una redistribuzione della ricchezza collettiva e dei redditi, per la scuola pubblica, per la tutela della salute dei cittadini, per un’agricoltura delle cooperative e rispettosa della natura nonché per una città a misura d’uomo.
Circa quest’ultimo tema, dopo le assurde demolizioni nel borgo medievale degli anni ’30-’60 del Novecento (Monastero di Santo Salvo, edifici storici entro le mura, facciata della chiesa di San Giuseppe, Porta della Terra), essa ha cercato non solo di difendere il patrimonio architettonico ereditato ma insieme di avanzare idee per la progettazione della città del futuro, sollecitando peraltro le amministrazioni comunali all’approvazione di Piani di fabbricazione quindi di Piani regolatori effettivamente rispondenti alle esigenze collettive. La mancanza di una cultura urbanistica di gran parte dei politici e amministratori e la loro ricerca di un consenso a tutti i costi hanno poi di fatto vanificato molto dell’impegno di quella generazione, che tuttavia ha potuto cogliere qualche piccolo ma significativo risultato grazie al confronto attivato con i cittadini e con le istituzioni. Tra i principali possiamo ricordare l’ampliamento della sede di alcune strade (tra cui via Istonia, via Trignina, corso Garibaldi, assi fondamentali della circolazione e di uscita-entrata dalla città), la creazione di nuove aree verdi o destinate ai servizi (soprattutto scolastici e sportivi nonché la realizzazione, pubblicamente riconosciuta dall’on. Vitale Artese, del Centro culturale Aldo Moro), il recupero dei reperti e delle aree archeologiche fino alla realizzazione del Museo civico Porta della Terra.
Giuseppe Carulli, operaio della manutenzione nello stabilimento Siv, quindi studente presso la facoltà di architettura di Pescara, si laureava nel 1981 (con una tesi di composizione – prodotta insieme a Giuliano Natalizia – dal titolo “Progetto nell’area del Castello a Vasto”) evidenziandosi come un estimatore della scuola tedesca del Bauhaus, il movimento di Gropius, Meyer, van der Rohe che conciliando arte e artigianato era riuscito a creare un linguaggio moderno, capace di utilizzare gli strumenti della produzione industriale per fini sociali e di usare il design in maniera essenziale, con linee pulite e definizione razionale degli spazi. Nei decenni successivi l’architetto Carulli avrebbe progettato tanto per la committenza privata quanto per quella pubblica, realizzando, in questo secondo ambito, diverse opere a San Salvo. Tra queste, la più significativa e coerente con la sua visione formale è a mio parere il progetto di ripavimentazione di piazza Giovanni XXIII, di parti di corso Umberto I e via Roma (compreso il giardinetto del Monumento ai Caduti) e la reimpostazione di corso Garibaldi, opere realizzate nel 1987 dalla ditta Ediltrignina di Raspa & Mariotti. Un’opera di pavimentazione all’insegna di un disegno leggero e razionale che avrebbe potuto avere un seguito se solo fosse stata compresa; così come non venne compreso il successivo progetto di collegamento tra via Roma e piazza Aldo Moro (quando aveva senso, cioè prima della costruzione del nuovo teatro comunale), largamente impostato ma che sarebbe rimasto sulla carta.
Il dibattito sulle tematiche urbanistico-architettoniche a San Salvo sarebbe proseguito fino agli anni di passaggio tra XX e XXI secolo, con gli appuntamenti cruciali del secondo Piano Regolatore Generale (approvato nel 1998), del Piano di Recupero Centro Storico (approvato nel 2001) e della variante al P.R.G. (adottata e approvata nel 2002); per poi rapidamente scemare. Eppure proprio alcuni limiti di questi ultimi strumenti urbanistici avrebbero dovuto indurre l’opinione pubblica ad una riflessione più attenta sui cambiamenti nel territorio e nell’area urbana di San Salvo (strettamente legati a quelli internazionali: globalizzazione dei mercati e delle culture, fenomeni migratori, mutamenti climatici) dunque ad un adeguamento delle scelte politiche e progettuali.
Infatti il secondo PRG e la sua Variante lasciavano irrisolti problemi come il riassetto dell’area industriale (che divide la Città dalla Marina, in una fase di relativa deindustrializzazione e di crescita dei servizi), la riqualificazione dell’edificato esistente (anche per evitare ulteriore consumo di suolo, in un Comune di soli 1961 ettari), l’adeguamento delle infrastrutture (a partire dalle strade e piste ciclopedonali), il mutamento funzionale di singoli edifici, quartieri o aree (ad esempio per le esigenze del turismo, settore in espansione nell’economia degli ultimi decenni a San Salvo), la messa in sicurezza delle aree residenziali e produttive da fenomeni meteorologici estremi (se oggi cadesse su San Salvo la stessa quantità di acqua scesa sull’Emilia-Romagna in singoli momenti dell’ultimo anno, benché la nostra cittadina si trovi su di un terrazzo alluvionale sconteremmo di sicuro effetti simili, poiché i valloni sono stati tutti tombati e il livello stradale si è progressivamente rialzato). Per non dire del rapporto intercomunale Vasto-San Salvo-Montenero che, nonostante la lezione del Piano Kurokawa e di alcuni tentativi successivi (Area metropolitana Vasto-San Salvo ecc.), di fatto non è mai stato seriamente preso in considerazione. Peggio il Piano di Recupero Centro Storico che, all’applicazione, sarebbe andato incontro ad un sostanziale fallimento. Tant’è vero che il Centro storico cittadino ad oggi è ancora meno abitato, presenta fattori di degrado (l’ultimo di una lunga serie, un edificio di fine Settecento sul muraglione di via Fontana che sta crollando) anche a seguito dell’abbandono delle piccole attività commerciali, mentre evidenzia interventi kitsch che di fatto stravolgono le forme della tradizione creando manufatti edilizi e prospettive sulle schiere onestamente inguardabili.
Nel 2014, in verità, la prima amministrazione Magnacca aveva riattivato la procedura per la realizzazione di un nuovo PRG o, in alternativa, per una seconda importante Variante al PRG in vigore. Nel 2016, incaricando del coordinamento per il progetto l’architetto Lucio Zazzara, quella amministrazione aveva pubblicamente presentato alla città – in data 18.11.2016 – gli indirizzi generali e le linee guida dello stesso invitando peraltro i cittadini a formulare proposte per arricchire le idee dei tecnici. Le intenzioni erano lodevoli: «Adeguare lo strumento urbanistico a una diversa visione delle esigenze delle attività produttive industriali e artigianali, di quelle agricole e dell’uso delle risorse turistiche» associandovi «una nuova coscienza ambientale, capace di rapportare ogni decisione a criteri di sostenibilità ambientale, di fattibilità economica e di miglioramento della qualità abitativa». Ma dopo l’avvio della fase di studio e lavoro e qualche altro pubblico incontro (alla marina e in città) l’iter di stesura si è notevolmente allungato sicché ad oggi – non essendo ancora stato adottato – è impossibile valutarne i contenuti.
A mio parere, nella trasformazione urbanistica e architettonica di San Salvo nel XXI secolo hanno dunque contato per alcuni aspetti più gli interventi dei privati che quello pubblico. La sensibilità estetica di alcuni proprietari, quella ambientale di altri, quella riguardante la sicurezza di altri ancora hanno talvolta permesso l’edificazione, la ristrutturazione o il restauro di edifici che possono dirsi gradevoli, talora interessanti. Così alcuni imprenditori edili, hanno dimostrato di poter migliorare forma e qualità abitativa, in qualche caso anche contenendo i costi. A questo proposito, significativo mi è apparso un intervento più ampio, messo in atto attraverso una lottizzazione dall’imprenditore Angelo De Cinque, esattamente nel quartiere detto “della 167”. Ebbene, questo quartiere, a lungo considerato periferico cioè “quartiere dormitorio”, grazie ad alcune realizzazioni di edilizia residenziale a basso impatto e insieme di edilizia commerciale, disponendo già di una ottima rete stradale, di servizi scolastici, sanitari (poliambulatorio) e commerciali (negozi e mercato settimanale), si è gradualmente trasformato in uno dei quartieri più vivi e frequentati della città.
Dunque la lezione di Giuseppe Carulli non è andata del tutto perduta. Analisi, conoscenza, confronto possono ancora fare la differenza, cioè consentire di agire e operare con razionalità e con la giusta creatività sia in ambito architettonico che in quello urbanistico. E questo non è poco, in un momento in cui le comunità (dove pure si parla tanto di “futuro”) appaiono così apatiche da neppure capire che cosa effettivamente siano e verso quale orizzonte stiano realmente marciando.
Giovanni Artese