Il Trigno sta morendo. Prosciugato dalla siccità e dai cosiddetti prelievi straordinari che hanno lasciato un letto di pietre dove scorre (per meglio dire, scorreva) il corso d’acqua che segna il confine tra Abruzzo e Molise. Sono le conseguenze drammatiche dell’emergenza idrica estiva e dell’ormai cronica mancanza d’acqua che, anche dopo le prime piogge di questo inizio d’autunno, lascia ancora a secco intere aree abitate e campagne, costrette a subire l’erogazione a singhiozzo.
Per tenere in vita il Trigno, si cerca di percorrere la strada del contratto di fiume: un accordo tra pubbliche amministrazioni per rigenerare il sistema fluviale che rischia di essere compromesso da captazioni dannose per il deflusso minimo vitale delle acque. Ieri, in municipio a Celenza sul Trigno, il sindaco, Walter Di Laudo, si è confrontato con i tecnici dell’associazione dei comuni del comprensorio Trigno-Sinello e con l’avvocato Patrizio Schiazza, componente del tavolo nazionale sui contratti di fiume, in rappresentanza della Regione Abruzzo.
«Confonto duro, a tratti aspro e spigoloso», riferisce il comitato per il fiume Trigno, composto da un gruppo di abitanti di Celenza, dove nei giorni scorsi si è discusso del problema anche in Consiglio comunale. «Lo stesso avvocato, dopo una lunga e dettagliata informativa sui numerosissimi contratti di fiume già avviati in Abruzzo ha ventilato la possibilità di finanziamenti a disposizione per la rivitalizzazione e valorizzazione del fiume, della vallata e delle attività economiche ad esso associate. Si è detto, quindi, disponibile al confronto con i cittadini celenzani presenti nella aula consiliare», che già avevano manifestato nei mesi scorsi davanti al Consorzio di bonifica di Vasto e al municipio di San Salvo.
Per loro, «il primo obiettivo del contratto deve essere quello di ridare al fiume trigno la sua dignità e la sua vita. Si rischia di firmare un contratto su un fiume che non c’è più. Troppe istituzioni glissano sul fatto che, per sette chilometri, il fiume non scorre. Una intera vallata è stata devastata. Troppi politici e tecnici non sanno o fingono di non sapere di questo dramma. Il Consorzio di bonifica sud, gestore della diga di Chiauci, oggi preleva in località san Giovanni Lipioni l’acqua che arriva dalla diga per i bisogni agricoli, industriali, turistici e in parte domestici si è detto disponibile e impegnato a ricercare soluzioni positive. Gli investimenti a questo punto devono essere adeguati alla gravità del problema. Occorre – afferma il comitato – garantire da subito che dallo sbarramento di San Giovanni Lipioni venga rilasciato il deflusso minimo vitale ed ecologico, controllato da appositi sensori che ne accertino la correttezza. Una condotta diretta dalla diga al litorale permetterebbe lo scorrimento omogeneo del fiume alla foce. Almeno due invasi potrebbero vedere luce, raccoglierebbero l’acqua piovana, sarebbero alimentate da alcune sorgenti. Ridarebbero un po’ d’acqua al fiume e a disposizione per l’antincendio».