Non fermarsi alla superficie: alle Giornate umanistiche l’esperienza di un grande giornalista d’inchiesta

Non fermarsi alla superficie. Approfondire e non sottovalutare i particolari che sembrano secondari. Il fondamenti del giornalismo investigativo come valori da trasmettere agli studenti. La seconda delle Giornate umanistiche, giunte all’undicesima edizione, porta nell’aula magna del Liceo Pantini-Pudente di Vasto Fabio Sanvitale, che dell’indagine giornalistica ha fatto la sua professione con una lunga esperienza ai quotidiani Il Tempo e Il Messaggero e le lezioni tenute all’Università La Sapienza di Roma e alla California State University. A fare gli onori di casa è la dirigente scolastica, Anna Orsatti. Conferenza introdotta dalla professoressa Rosita Paganelli.

Il giornalismo investigativo

«A 14 anni – racconta Sanvitale – avevo deciso di fare il giornalista e di occuparmi di cronaca nera per svelare i misteri, che a volte rimangono tali. Ma vi tranquillizzo: i quarantenni più interessanti che ho conosciuto non sanno ancora cosa fare». Gli studi di psicologia gli consentono di affrontare il racconto di fatti efferati «con un approccio scientifico». La definizione del suo lavoro è che «il giornalista investigativo è quello che scava. Il giornalista “normale”, diciamo così, riporta le notizie che viene a sapere. Il giornalista investigativo è quello che fa le inchieste. Il nostro compito è quello di indagare anche quando un’inchiesta giudiziaria è chiusa: rifacciamo noi l’inchiesta e diamo un contributo alla verità».

La storia del canaro della Magliana, l’assassinio avvenuto nel 1988 a Roma in un negozio per cani, è uno dei delitti di cui Sanvitale si è occupato in Sangue sul Tevere, il libro su una serie di omicidi scritto insieme ad Armando Palmegiani e Vincenzo Mastronardi: «Quando ho scritto il libro, e per scrivere un libro ci vuole un anno di lavoro, ho scoperto che c’era un complice sfuggito alle indagini della squadra mobile».

I cold case

Sanvitale racconta uno dei molti casi irrisolti di cui si è occupato, la scomparsa di Angela Celentano, la bimba di tre anni sparita nel 1996 nel bosco del monte Faito, a Vico Equense (Napoli). «Nel mio lavoro ci sono particolari insignificanti, che però devi ricordare, perché poi ritornano. I particolari insignificanti poi sono importantissimi». Ripercorre le testimonianze contraddittorie, i ricordi non genuini perché troppo dettagliati, privi degli inevitabili buchi di memoria. Analizza il luogo della scomparsa e la distanza ravvicinata – un minuto a piedi – dal punto in cui si trovava il padre della bimba. Ventisette anni di inchieste non sono bastati a scoprire la verità. Sanvitale si è fatto un’idea di come possa essere andata: «Forse nessuno l’ha portata via. La mia impressione è che si sia trattato di un incidente, può essere caduta da una staccionata» oppure «essersi persa in una zona piena di microfauna».

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