Marie Helene Benedetti, presidente dell’associazione Asperger Abruzzo, torna a lanciare un gravissimo allarme riguardo le modalità con cui alcuni centri terapeutici lavorano con bambini e ragazzi affetti da autismo in tutto l’Abruzzo.
«Abbiamo sempre chiesto la trasparenza che per legge ci è dovuta, tuttavia continuano ad arrivare segnalazioni alla nostra associazione, Asperger Abruzzo, di famiglie che lamentano gravi mancanze di trasparenza, e che denunciano le modalità attuate da molti centri terapeutici nel campo della riabilitazione, dove proprio i genitori, i diretti interessati, vengono tagliati fuori. Abbiamo quindi deciso di cominciare a denunciare alla Asl, alla Regione Abruzzo e all’opinione pubblica quanto avviene in questi centri, affinché gli organi competenti facciano chiarezza e prendano provvedimenti per quei centri che non lavorano secondo le norme sanitarie previste».
«Nei giorni scorsi abbiamo già segnalato un caso gravissimo alla ASL02 e all’assessorato alla Sanità della Regione: troppo spesso le modalità di lavoro dei centri terapeutici vengono disattese, nonostante sia un obbligo di legge lavorare in modo trasparente, informando costantemente l’utenza di tutto ciò che li riguarda, con la massima chiarezza, condividendo tutto con loro, coinvolgendoli e concordando ogni passo, ogni scelta e ogni decisione, così come previsto dalle linee guida nazionali. I genitori devono costantemente essere edotti durante tutto il percorso; le decisioni del centro devono essere condivise, e non imposte e subite passivamente dalle famiglie e dai bambini, come troppo spesso è accaduto e tuttora accade.
Conosciamo casi di centri terapeutici, uno per esempio a Pescara, in cui, al primo colloquio con le famiglie, quando viene loro chiesto di rispettare le indicazioni del neuropsichiatra di riferimento, rispondono fermamente che faranno rivalutare il bambino dal neuropsichiatra interno alla struttura per decidere quali terapie erogare. Questi centri scelgono cosa offrire ai pazienti in base alle proprie disponibilità, adducendo ciò a necessità del bambino e affermando che il proprio neuropsichiatra sia più competente rispetto a quello della Asl in quanto maggiormente a contatto con il paziente. Se questi centri, però, lavorano con queste modalità, è perché i neuropsichiatri delle Uvm (Unità Valutativa Multidisciplinare) accettano le loro proposte (probabilmente in buona fede), a danno delle finanze delle ASL, che pagano delle riabilitazioni che non riabilitano, a danno dei bambini in lista d’attesa, a danno del bambino in questione, e a danno delle famiglie. L’unico a beneficiare di questa situazione è il centro terapeutico che può erogare la terapia più conveniente e che gli permette di guadagnare di più, e che, molto spesso, può lavorare anche senza assumere determinate figure professionali, come ad esempio dei logopedisti».
La presidente denuncia poi anche un caso nella provincia di Chieti, in cui, «per un bambino, l’Uvm ha richiesto 5 sedute settimanali di terapia, ma in realtà ne venivano erogate solamente 4. L’Uvm ha chiesto di integrare una terapia a settimana in ambiente domiciliare, come fortemente richiesto dalla famiglia, ma il centro ha successivamente mandato le proprie modifiche all’Uvm chiedendo di fare delle terapie solo in struttura, affermando, falsamente, che quella richiesta fosse stata concordata con la famiglia. La madre del bambino, sospettosa di tutte queste modifiche, a giugno scorso, non essendo mai riuscita a visionare i documenti che aveva richiesto alla struttura, ha richiesto tramite Pec l’accesso agli atti per poter ricevere le comunicazioni intercorse fra l’Asl e il centro terapeutico del figlio, ma la struttura non ha mai risposto a questa Pec».
«Quindi la madre si è rivolta, dietro nostro suggerimento, alla ASL di competenza, riuscendo ad ottenere la documentazione. Così facendo, è stato scoperto che la struttura aveva riportato alla ASL delle false affermazioni, mai avvenute, e all’insaputa della famiglia, dichiarando che il piano terapeutico era stato modificato in accordo con la famiglia, ed è stato così tolto l’intervento domiciliare necessario richiesto dalla ASL, di cui la famiglia aveva vitale necessità. Un genitore ha il diritto di visionare, in qualsiasi momento lo ritenga opportuno, la cartella clinica del proprio figlio, che deve, per legge, essere costantemente aggiornata anche con le comunicazioni tra il centro e l’ASL e viceversa. Se tale accesso viene negato dal centro, i genitori hanno il dovere di chiamare le forze dell’ordine per far certificare il diniego potendo, quindi, procedere con una querela; se essi non avessero i mezzi per fare ciò in autonomia, se ne occuperà l’associazione Asperger Abruzzo per loro».
La presidente, concludendo, afferma che, questa denuncia a mezzo stampa è fatta «anche perché sappiamo con certezza che ci sono altri centri terapeutici che lavorano esclusivamente nel proprio interesse, anche quando ciò è a danno dei bambini e delle famiglie».
Benedetti invita le famiglie con figli con problemi di autismo a rivolgersi all’associazione Asperger Abruzzo, per avere supporto e denunciare situazioni dubbie e procedure scorrette messe in pratica da queste strutture riabilitative.