Da “polveriera” a leader mondiale: l’ascesa della Esplodenti Sabino con lo smaltimento delle bombe

«È scoppiata la polveriera». La polveriera è, nell’immaginario comune locale, la Esplodenti Sabino. Nonostante la posizione di leader mondiale nella demilitarizzazione di esplosivi, per tutti è rimasta la polveriera e quando c’e un incidente al suo interno la probabilità di un bilancio pesante è alta. È successo nel 1992 quando morì Bruno Molisani, poi nel 2009 con il ferimento di due dipendenti, fino ad arrivare alle tragiche date del 21 dicembre 2020 (tre morti: Nicola Colameo, Paolo Pepe e Carlo Spinelli) e del 13 settembre 2023 (Giulio Romano, Fernando Di Nella e Gianluca De Santis).

Oltre 100 anni di storia

La Esplodenti Sabino – oggi sotto sequestro – è conosciuta come la polveriera per la sua attività partita agli inizi del 900 con la produzione di fuochi d’artificio che poi si estese a polvere nera, cartucce di polvere e articoli pirotecnici militari. La svolta per l’azienda della famiglia Salvatore arriva nel 1978 quando entra nel settore dello scarico e manutenzione di munizioni convenzionali e non convenzionali.
Pur continuando a operare nel settore civile con lo smaltimento di air-bag, cinture di sicurezza e razzi di segnalazione usati nel settore marittimo, il core business diventa rapidamente quello legato alle armi. Nel sito casalese si smaltiscono granate, mine navali, testate per artiglieria lanciarazzi, cluster bombs ecc.

Un sito di stoccaggio

Il video (realizzato in italiano, inglese e russo 7 anni fa, quindi con numeri che nel frattempo sono cresciuti ulteriormente) presente sul sito aziendale restituisce la portata di questa fabbrica nello scenario mondiale: oltre 10mila differenti tipi di munizionamento distrutti, 90mila testate per lanciarazzi, 700mila granate, oltre 100 milioni di submunizioni. La stima dell’attività annuale di distruzione parla di 6mila tonnellate di munizionamento, 20 milioni di cartucce di piccolo calibro, 200mila segnali nautici, 100 tonnellate di airbag. La polvere da sparo recuperata viene impiegata nella realizzazione di esplosivi per uso civile. Nel 2020 l’azienda ha dichiarato un fatturato di oltre 46 milioni di euro drasticamente sceso nel 2021 a poco più di 7 milioni di euro a causa della chiusura di quasi un anno seguita all’incidente.

La Esplodenti Sabino effettua anche attività di stoccaggio con una capacità di 400 tonnellate a Casalbordino e 286 a San Giovanni Rotondo.

Le lavorazioni

La commessa sulla quale si stava lavorando il 13 settembre scorso arrivava dall’Agenzia Industrie Difesa, azienda riconducibile al ministero della Difesa. L’elenco dei committenti è lungo, oltre a quello italiano c’è gran parte degli eserciti dei Paesi dell’orbita Nato: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Regno Unito, Norvegia, Olanda, Spagna, Usa ecc.
Diverse le tecnologie usate per smaltire questi munizionamenti dall’elevato potenziale distruttivo (sono state sviluppate oltre 3.000 specifiche procedure di lavorazione), come ad esempio la criofrattura delle munizioni «mediante raffreddamento rapido con azoto liquido e successiva frantumazione». Importante anche la fase di studio e ricerca con appositi laboratori all’interno del sito.

Il forno statico

«Dopo il taglio dei motori in sezioni, si estrae il propellente e mediante fresatura si ripulisce ogni sezione dai residui – la spiegazione di una delle procedure di smaltimento – Tutti gli esplosivi e i componenti attivi non riutilizzabili sono distrutti per via tecnica. Tale processo avviene mediante un forno statico (nelle vicinanze del quale si verificò l’incidente del 2020, ndr) e ben tre forni rotativi detonanti. Questi impianti sono in grado di termodistruggere in sicurezza e nel rispetto delle normative ambientali esplosivi detonanti, propellenti, miscele illuminanti, fumogeni e lacrimogeni».

Tra le principali munizioni smaltite ci sono le bombe da 120mm, contenenti diversi chili di polvere da sparo. Pare sia stato uno di questi ordigni a essere esploso il 13 settembre. Il disinnesco avviene operando nella parte posteriore. A lavorare sulla bomba c’era Romano (e non il lancianese Di Nella come riportato nella prima ricostruzione dell’Ansa), l’onda d’urto della deflagrazione ha investito anche i due colleghi, uno dei quali deceduto dopo qualche minuto dall’arrivo dei primi soccorsi interni.

Le bombe da 120mm

Nel video aziendale l’attuale direttore dello stabilimento, Giustiniano Tiberio (tra gli imputati per i fatti del 2020 insieme ad altre 8 persone e alla stessa società) affermava: «Crediamo fortemente che solo avendo dei lavoratori formati e delle tecnologie all’avanguardia, si riesca a eseguire le nostre attività in totale sicurezza. La tutela dei lavoratori è un investimento importante per la crescita della nostra azienda».

Nonostante gli importanti interventi in materia di sicurezza (la società attraverso i propri legali cita 1 milione di euro spesi), si continua a morire e il conto degli ultimi anni è tra i più pesanti della storia industriale del territorio. L’azienda dopo la tragedia di mercoledì scorso parla di «evento imponderabile». Saranno le indagini ad accertare se si è trattato di mancanze nelle procedure di sicurezza, errore umano o di un difetto del materiale su cui si stava lavorando. Ora, oltre all’immenso dolore per le perdite, tra i colleghi dei sei dipendenti che hanno perso la vita in tre anni ci sono non pochi timori e c’è chi si dice pronto a non tornare.

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