Ogni brano è un’emozione: Mogol si racconta con le canzoni scritte per Battisti

Una storia musicale ripercorsa tra aneddoti e canzoni. Ogni brano è un’esperienza personale. Mogol, al secolo Giulio Rapetti, si racconta con un pizzico di nostalgia e, a tratti, un po’ di ironia davanti al pubblico dell’Arena Morricone di Vasto. Mi ritorni in mente è lo spettacolo in cui il grande paroliere rivela l’origine dei brani che ha scritto per Lucio Battisti e i Medit Voices proseguono in musica e voce il racconto di un sodalizio artistico, quello tra Mogol e Battisti, iniziato negli anni Sessanta e terminato all’alba degli anni Ottanta.

Quando il gruppo vocale pescarese finisce di eseguire Che anno è, che giorno è, l’autore si emoziona. Indica il pubblico: «Nell’ultima parte, quando ho sentito loro che cantavano, ho provato un brivido». Con Fiori rosa, fiori di pesco vuole rispondere alla domanda: «Perché una sola fidanzata, se posso averne tante? Una vale più di centomila, se si ama».

È possibile che un uomo diventi amico di una donna? La risposta è nel celebre refrain di Una donna per amico. Un pezzo che naque dalla richiesta di un’amica, Adriana, che gli chiese di dedicarle un brano. «Risposi che non scrivo canzoni su commissione». Però da quel dialogo nacque Una donna per amico. «Adriana mi disse: ma come fanno a sapere che sono io? Risposi: glielo spieghi tu».

«Mi ero innamorato di un’amica di mia sorella, una donna straordinaria», racconta. «L’ho fatta conoscere ai miei genitori. Avevano deciso che dovevamo sposarci. Ho ritrovato una nostra foto: lei una donna elegante, io un ragazzino col cappellino. Ero immaturo e, due anni dopo, è passata una rossa e mi sono separato. Cinquant’anni fa separarsi era diverso: ti abbandonavano tutti, non avevi più amici, non ti parlava nessuno. Andammo a vivere nei boschi». Così nacque Il mio canto libero, autobiografico fin dalle prime parole: «In un mondo che non ci vuole più il mio canto libero sei tu».

Erano gli anni Settanta, anni di piombo. Finì nel mirino delle Brigate Rosse: «Ho rischiato la vita. Si era sparsa la voce che io e Battisti eravamo fascisti», quando scrisse La collina dei ciliegi, per la frase «”planando sopra i boschi di braccia tese”. Le hanno fatte diventare un saluto fascista».

C’è tempo per presentare i componenti dei Medit Voices, diretti da Angelo Valori. Poi arriva il momento del bis con Sì, viaggiare per chiudere tra gli applausi.

Foto di Clara Di Lello

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