Sono racchiuse in 174 pagine le motivazioni delle cinque condanne e 25 assoluzioni del processo di primo grado sulla tragedia dell’hotel Rigopiano. Sotto le macerie morirono 29 persone, altre 11 furono salvate dai soccorritori. Per sei anni ci si è chiesti se i soccorsi potessero essere attivati prima, se l’allarme fosse stato sottovalutato. Nelle motivazioni del verdetto, che ha fatto molto discutere, il giudice Gianluca Sarandrea afferma che l’oggetto del processo è la sussistenza di carenze organizzative di natura colposa e la loro incidenza sulla tragedia. E non sarebbe stata sufficiente una carta delle valanghe a prevenire il rischio in assenza di un piano di zonazione degli eventi valanghivi.
Secondo il magistrato che ha emesso la sentenza, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, non è colpevole per non aver convocato la commissione valanghe, ma lo è, con condanna a due anni e otto mesi, per non aver dichiarato inagibile l’albergo dopo le forti nevicate e per non averne ordinato lo sgombero. Tre anni e quattro mesi la pena inflitta dal giudice di primo grado a Paolo D’Incecco e Mario Di Blasio, dipendenti del settore viabilità della Provincia di Pescara, per il mancato monitoraggio della percorribilità della strada provinciale 8 e per l’assenza di un mezzo sostitutivo della turbina che era fuori uso.
Assolto l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, perché, in base alla valutazione del magistrato giudicante, non c’era alcun intento di rappresentare un dato diverso da quello reale, visto che le missive in questione sono del 16 e del 17 gennaio, quindi contestuali allo svolgimento del servizio.
Ora la Procura di Pescara ha 45 giorni per valutare se proporre appello. I familiari delle vittime si aspettano che il giudizio di secondo grado si faccia. «La Procura ce l’ha promesso», dice Mario Tinari, papà di Jessica, morta a 24 anni insieme al suo ragazzo 25enne, Marco Tanda. «A volte, in appello il verdetto viene ribaltato. A essere onesti, la fiducia non è tanta. Però un lumicino di speranza c’è ancora».