Barelle “incerottate” e carrozzine sgonfie: «Per noi del Pronto soccorso una difficile quotidianità»

Lavoratori che fanno del loro meglio per assicurare una corretta assistenza sanitaria combattendo con l’inadeguatezza delle attrezzature. È ciò che avverrebbe quotidianamente nel pronto soccorso dell’ospedale “San Pio” di Vasto. Il nosocomio è perennemente al centro della polemica politica tra chi ne denuncia i problemi per bacchettare la Regione e chi, dall’altra parte, annuncia interventi, investimenti e, l’immancabile, futuro nuovo ospedale.

In mezzo, però, ci sono gli operatori del sistema sanitario che fanno i salti mortali tra personale risicato e non solo. Abbiamo raccolto la testimonianza di alcuni di loro, ai quali per ovvie ragioni garantiamo l’anonimato, che dipinge una distanza netta tra la realtà dei salti mortali quotidiani e la baraonda politica sempre viva sull’argomento.

Innanzitutto, i problemi riguardanti le attrezzature, partendo da uno dei presìdi elementari di un ospedale, le barelle: «La gran parte di queste hanno il sistema frenante rotto, le ruote semibloccate che non girano a dovere: per portarle dobbiamo compiere sforzi e movimenti innaturali, l’esatto contrario di ciò che viene spiegato nei corsi di formazione. La soluzione – ci dicono – sarebbe portarle in due, ma siamo già pochi e significherebbe togliere un’unità da un altro servizio. Il paradosso è che l’azienda sanitaria ci obbliga a seguire corsi di formazione durante i quali viene detto di evitare certi movimenti, ma il rispetto di tali norme è impossibile a causa di queste mancanze. Immaginate di portare una barella già pesante di per sé, con un paziente sopra, praticamente ingovernabile con ruote che non girano e freni che non frenano con il rischio di finire addosso ad altre persone».

Non mancano poi le criticità riguardanti i sistemi di protezione del paziente: «Spesso accade che la barella inizia a muoversi mentre si fa sedere il paziente perché il sistema frenante non funziona. Altro problema è quello delle spondine di protezione rotte: alcune senza viti, altre sono bloccate, altre ancora sono incerottate (come nelle foto in alto, nda). Allora si poggia la barella contro il muro, ma con il rischio che queste “partano” al minimo movimento del paziente per il già citato problema ai freni. Il numero è poi insufficiente: 5-6, inadeguato rispetto alla mole agli ingressi soprattutto d’estate».

Una situazione simile riguarda le sedie a rotelle: «Ce ne sono due per pazienti obesi con la predisposizione per l’ossigeno, ma le gomme sono sgonfie o bucate. Le altre sedie, quelle “normali”, hanno i freni non funzionanti e i poggiapiedi rotti. È inoltre assente un servizio carrozzina per gli utenti dell’ospedale con il risultato che vengono a prendere da noi».

Non va meglio per quanto riguarda pappagalli e padelle, presidi da sterilizzare dopo ogni uso: «Nei percorsi di studio apprendiamo tutte le pratiche per la sterilizzazione e la disinfezione, ma per farlo abbiamo bisogno di strumenti adeguati. Ad esempio in altre strutture è presente il lavapadelle che grazie alle alte temperature garantisce la disinfezione. Qui le dobbiamo lavare sotto un normale lavello; la stessa mancanza c’è all’Obi. In altri ospedali oltre al lavapadelle hanno a disposizione del materiale monouso. Qui non abbiamo né l’uno né l’altro».

Infine, altre mancanze che potrebbero sembrare minime, ma che contribuiscono a rendere difficile la quotidianità: «La sala d’attesa non dispone di un bagno. La gente quindi deve accedere al Pronto soccorso, ma il bagno non è adeguato per i disabili ed è impossibile farvi entrare una persona in carrozzina insieme all’accompagnatore. Per trovare un bagno adeguato bisogna andare in altri padiglioni. Infine, non abbiamo armadietti interni al pronto soccorso per riporre gli oggetti degli operatori; negli spogliatoi ci sono continui furti e per questo evitiamo di metterli lì».

Mentre si discute, a ragione, di grandi investimenti e opere, basterebbe nel frattempo apportare piccoli interventi alla dotazione basilare di un ospedale per migliorare la quotidianità dei lavoratori e, di riflesso, dei pazienti.

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