«Io, Cireneo», il racconto della Croce sotto il cappuccio e i piedi scalzi

«I miei piedi». È così che padre Lorenzo, allora padre spirituale dell’Arciconfraternita Morte e Orazione di Lanciano, sintetizzava il racconto di un Cireneo, una volta rientrato in chiesa. I suoi piedi erano stati l’unica cosa che, durante tutto il percorso della processione, aveva visto e guardato. Ma oltre quei piedi e sotto quel cappuccio c’è tanto altro; ci sono migliaia di storie e oltre 400 anni di Storia.

«Sono momenti emozionanti che ti portano a pensare, riflettere, ricordare e stare da solo con te stesso per tanto tempo e per quanto sin da piccolo fosse qualcosa che avevo sempre guardato con grande trasporto, viverlo è molto diverso». Così un Cireneo, un confratello che ha avuto l’onore di accollare la Croce durante una delle processioni del giovedì o venerdì santo di Lanciano, racconta la sua esperienza sotto il pesante legno. «Ho sempre vissuto l’Arciconfraternita con molta passione ma sono sincero, non credevo che avrei mai avuto questa opportunità – racconta a Chiaro Quotidiano -. Quando infatti poco prima dell’uscita della processione sono stato chiamato dal priore, non avevo capito cosa stesse accadendo e in un attimo mi sono ritrovato in quella stanzetta di cui tanto avevo sentito parlare ma che mai avevo visto, da solo con me stesso, con i miei pensieri e la mia emozione». Attimi che sembrano lunghissimi nella stanza che da sempre viene definita del Cireneo, alle spalle del telone blu del Sepolcro, in cui ci sono solo una piccola sedia, un inginocchiatoio ed il catino per lavarsi i piedi al rientro dalla processione. «A quel punto è arrivato il padre spirituale per la confessione e, una volta infilato il cappuccio, ho capito che stava accadendo proprio a me: avrei portato la croce come Cristo».

E la voce si fa rotta al ricordo del priore che, dopo un deciso suono di racanella, prendendolo per mano, chiama a gran voce «la Croce» e lo conduce all’ingresso della chiesa di Santa Chiara per una benedizione e per mettergli sulla spalla la Croce, proprio come accadde a Simone di Cirene durante la salita di Gesù al Golgota. «Ti affido la Croce di Cristo, simbolo di amore e sofferenza, onora questa Arciconfraternita». Con queste parole e con le prime note della banda di Ravazzoni e Masciangelo inizia la processione. «La prima grande emozione si ha quando si mette il primo piede, scalzo, fuori dalla chiesa – ci dice il confratello -. E passare dalla penombra di Santa Chiara alla luce ed alla moltitudine di persone che c’è fuori ti dà il senso di quello che sta accadendo. Sai che al centro dell’attenzione ci sei tu ed effettivamente non vuoi sbagliare ed onorare l’Arciconfraternita che, in quel momento, si stringe tutta attorno a te». E così passo dopo passo, la processione si snoda tra le vie del centro storico e altrettanto passo dopo passo il Cireneo vive il suo momento più alto ed emozionante.

«Sai di essere l’attrazione del momento ma la tua testa è altrove»

«Ti chiedi se ce la farai fisicamente, vivi piccoli attimi di sofferenza fisica, stai attento a non mettere i piedi in fallo ed a stare chinato per evitare che la Croce tocchi a terra – ricorda -. Sai di essere l’attrazione del momento ma la tua testa è altrove. Sei solo, insieme ai tuoi pensieri, ai tuoi ricordi, alla tua fede ed a tutte le persone che non ci sono più e pensi a come sarebbe quel momento se fossero ancora insieme a te». Mano a mano che la processione prosegue il suo giro, piccole pietroline iniziano ad insinuarsi sotto i piedi scalzi, i flash dei fotografi diventano più fastidiosi ed i 30 chili della Croce si fanno sentire ma è tutto attutito da ciò che si prova dentro.«Tra i momenti di maggiore pathos c’è senza dubbio il rientro in chiesa – racconta ancora -. Quando sei lì, davanti a Santa Chiara, ti senti pervaso dalla commozione per ciò che è accaduto e perché ormai sai di avercela fatta. Ed è solo quando sei di nuovo nella tua stanzetta, mentre ti lavi e senti le voci degli altri confratelli oltre la porticina che realizzi davvero».

Un’emozione, quella del Cireneo, che non si arresta con la fine della processione ma continua anche nei giorni successivi. «Sono orgoglioso di aver avuto questa opportunità – conclude -, ogni confratello dovrebbe avere la possibilità di vivere questi momenti per poi riviverli, anche a distanza di tempo, ogni volta che il priore, a gran voce, chiamerà la Croce negli anni a venire». L’esperienza da Cireneo è quella sì in cui si vive in solitudine la sofferenza ma nello stesso tempo, sotto quel cappuccio e sotto quella Croce, non si è mai davvero soli. A prendere ogni confratello per mano ci sono migliaia di storie e oltre 400 anni di Storia.

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