Un’Italia a due velocità, con un Nord sempre più avanzato e un Sud che resterà sempre più indietro. Questo, secondo Anpi e docenti universitari, succederà se il Parlamento approverà il ddl Calderoli, il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Ieri a Vasto, nella pinacoteca di Palazzo d’Avalos, il convegno organizzato dalla sezione locale dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia.
Quello prospettato dal governo Meloni «è un regionalismo antistorico, perché già non ha funzionato»: la stroncatura della proposta di riforma arriva da Enzo Di Salvatore, professore di diritto costituzionale all’Università di Teramo, che ha coordinato il dibattito in cui sono intervenuti, dopo i saluti istituzionali dell’assessore alla Cultura, Nicola Della Gatta, il presidente dell’Anpi di Vasto, Domenico Cavacini, il professor Emanuele Felice, ordinario di economia politica e storia economica e sociale all’Università Iulm di Milano, l’assegnista di ricerca Andrea Chiappetta, il dottorando in diritto costituzionale Giovanni Provvisiero e il consigliere regionale Pietro Smargiassi.
Motivi formali e sostanziali alla base del giudizio fortemente negativo di Anpi e docenti, secondo cui la devolution produrrebbe ulteriori squilibri tra Nord e Sud. Disuguaglianze che non sarebbero compensate dai Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, riguardanti i diritti civili e sociali.
«La Costituzione – ha affermato Cavacini – è un organismo complesso. Non si può mettere mano ad esso perché c’è la minaccia di un secessionista del Nord. Non abbiamo condiviso la riduzione del numero dei parlamentari, perché già c’è un difetto di rappresentanza. Gestire un collegio più ampio è più difficile e costoso, quindi i rischi di corruzione potrebbero aumentare». Inoltre, l’attuale sistema sanitario con competenze devolute alle Regioni «non funziona non solo nelle Regioni svantaggiate, ma nemmeno nella nostra, come non funziona in altre realtà apparentemente più efficienti della nostra. La competenza sanitaria deve tornare interamente allo Stato».
«Colmare i divari sociali è la condizioni perché le regioni del Sud possano camminare da sole», ha ammonito Felice, collegato in videoconferenza. «Quando i divari sono forti, il federalismo li accentua». Nel mirino finisce anche la riforma del Titolo V della Costituzione (che detta i principi su Regioni, Province e Comuni): quella revisione costituzionale, attuata nel 2001 dal governo Amato, sostenuto dal centrosinistra, «si basava sulla teoria della locomotiva del Nord: visto che il Sud era irredimibile, bisognava, secondo questa teoria, puntare sul Nord che, liberato da lacci e lacciuoli, avrebbe trainato anche il Sud». Con l’approvazione del ddl Calderoli, «sarebbe molto più difficile anche fare impresa, perché si avrebbero regole regionali. Si tornerebbe quasi agli Stati preunitari».
Sul trasferimento di competenza «le prime richieste di Veneto ed Emilia Romagna hanno riguardato la devoluzione di tutte le materie», ha spiegato Provvisiero, che ha ripercorso le precedenti proposte di autonomia differenziata fino ad arrivare a quella dell’attuale ministro degli Affari regionali e delle Autonomie. «La vaghezza è nemica dell’autonomia differenziata».
Secondo Chiappetta, i pericoli riguardano «compatibilità e utilità del ddl Calderoli», innanzitutto perché non è una legge costituzionale, ma «un tentativo di indirizzare l’attuazione della disposizione costituzionale (l’articolo 116, che consente l’autonomia differenziata, n.d.r.) per via ordinaria». Inoltre, «i principi del ddl Calderoli non dicono nulla che non sia già contemplato dalla Costituzione».
«Il regionalismo così com’è stato non funziona», è il giudizio del professor Di Salvatore. «Non funziona in tempi ordinari, ancora meno con le crisi cicliche che stiamo vivendo. È il regionalismo che meriterebbe una riforma» in questo senso: «Riportiamo in capo allo Stato alcune competenze che garantiscono l’uguaglianza».