Un piccolo proverbio della tradizione scozzese consiglia di “non dare fiato alla bocca ma di parlare con il cuore”: il caso però di Isabella Del Peschio, cantante e polistrumentista frentana residente a Roma, è un po’ diverso perché lei oltre a parlare con il cuore delle sue passioni ed interessi dà con maestria fiato anche alla bocca con cui anche grazie all’affascinante ed ancestrale strumento della cornamusa (o bagpipe secondo l’etimologia anglosassone) crea melodie struggenti e solenni al tempo stesso. Una passione viscerale quella di Isabella per la musica iniziata in tenerissima età come racconta lei stessa a Chiaro Quotidiano. «Probabilmente questo interesse nasce insieme a me… se non prima, già mia madre nella pancia aveva iniziato a farmi ascoltare parecchia musica e su tutti, spiccavano Fabrizio De Andrè e Angelo Branduardi.
Crescendo poi con i vinili e le musicassette di entrambi, nelle mie orecchie di bambina iniziava a prendere forma una certa identità musicale e la sensibilità del primo e le sonorità dell’ultimo hanno avuto una forte influenza su di me. Sono sempre stata più o meno un’autodidatta – continua Isabella – ma senza il maestro Gerardo Petrosemolo della scuola “Eroi Ottobrini” e la professoressa Elvira Giancristofaro della media “Umberto I”, non sarebbe lo stesso. Entrambi sono state preziose figure di riferimento e di ispirazione, per me, perché hanno acceso quella fiammella poi ingigantita, che ora è una parte fondamentale della mia vita. Porto nel cuore la chitarra del maestro Gerardo, a scuola e in parrocchia, e il coro della professoressa Giancristofaro, ogni 22 novembre per Santa Cecilia».
Isabella è una polistrumentista, ma tra i tanti strumenti uno, la cornamusa, ha un posto particolare nel suo cuore. Le chiediamo quindi da cosa e da come nasce questa affinità. «È stato un percorso tortuoso, ma sicuramente interessante. Io nasco polistrumentista ed in realtà il mio strumento principale è la voce. Suono anche strumenti a corde coi quali mi accompagno (chitarra, bouzouki irlandese, ukulele) e percussioni (batteria, tamburo di marcia scozzese, bodhran – tamburo a cornice irlandese) e altro. Nonostante ami la musica in generale, quella conosciuta come “celtica” ha sempre avuto una certa presa su di me. Già a 12 anni, tra tutta quella in rotazione su MTV prediligevo la band pop-rock-folk dei The Corrs. Dal loro singolo più conosciuto “Breathless” mi sono poi immersa in una costellazione di album con brani pop mischiati a sonorità tradizionali, che all’epoca mi hanno letteralmente rapita. Cercavo – continua Del Peshio – quanto più materiale simile, affacciandomi piano piano sul trad dei The Chieftains e The Tannahill Weavers».
A 19 anni, qualcosa cambia, Isabella per continuare i suoi studi universitari si trasferisce a Roma per l’Università e lì quasi per caso accade qualcosa, «una sera, per in un pub dietro piazza Navona mi sono ritrovata in una session di musica tradizionale irlandese. Ho iniziato a avvicinarmi concretamente al genere, inserendomi gradualmente nell’ambiente romano. Poco tempo dopo, nel 2013, sono entrata a far parte della City of Rome Pipe Band, la prima banda di cornamuse e tamburi scozzesi d’Italia. Ho iniziato prima come drummer, suonando il rullante da marcia e Dopo sette bellissimi anni passati al tamburo e alla voce della banda, durante il lockdown del 2020, ho iniziato a studiare cornamusa».
La cornamusa ci fa subito pensare alle atmosfere affascinanti e un pò misteriose delle highlands scozzesi, ma in realtà è uno strumento utilizzato in molte culture e parti d’Europa. Chiediamo quindi alla nostra intervistata di spiegarci quali sono le caratteristiche e differenze principali dei vari tipi? «Esistono nel mondo tantissimi tipi di strumenti aerofoni a sacco. Il meccanismo è sempre lo stesso: tramite un insufflatore, l’aria entra in una sacca, e da lì, grazie alla pressione eseguita dal diaframma e dal braccio del suonatore, l’aria in uscita fa vibrare le ance sia del chanter (il flauto che produce la melodia) sia degli eventuali bordoni (che producono note fisse), producendo il suono. In Italia abbiamo le nostre cornamuse: tra tutte, la zampogna o piva (e le sue varietà regionali), e il baghèt, una cornamusa diffusissima e amatissima nel bergamasco. Oltremanica esistono numerosi tipi di cornamusa, tra cui la Northumbrian Pipe (con il mantice, dal suono più dolce e nasale), la Border Pipe (può avere l’insufflatore o il mantice, dal suono squillante, ma sempre da interno) la Uilleann Pipe (la cornamusa irlandese, forse la più complicata da suonare, il cui suono acciaccato e graffiante è usato tantissimo nei film a tema data la sua potenza evocativa).
La mia – sottolinea la musicista – è la Great Highland Bagpipe, la regina delle cornamuse, soprannominata così per la sua popolarità e soprattutto volume sonoro! Si tratta di uno strumento progettato specificamente per suonare all’esterno, ha un suono potente e cristallino, udibile anche da lunghe distanze. In guerra è stato a lungo usato sia nelle retrovie per allietare i soldati a riposo, sia al fronte per motivare i soldati in battaglia. Famosissima è la figura del “Mad Piper” Bill Millin, che durante lo sbarco in Normandia ha suonato ininterrottamente la cornamusa sulla spiaggia di Sword Beach nonostante il pericolo, per incoraggiare i suoi compagni e non lasciarli soli. I tedeschi pensavano che fosse matto, e per questo non l’hanno ucciso».
Come sottolineato dal 2013, Isabella fa parte della City of Rome Pipe Band, con la quale partecipa a tantissime manifestazioni ed eventi in Italia e nel mondo, «in questi anni abbiamo partecipato a eventi, di vario tipo, sia organizzati da noi che da altri. Abbiamo anche suonato con Hevia al Teatro Brancaccio! Tra le partecipazioni in tv ricordo “Telethon”, “Porta a Porta”, “Il Grande Match”, il “Concerto di Natale” in Vaticano, per la Rai e recentemente abbiamo partecipato a “Uà – Uomo di Varie Età” di Claudio Baglioni su Mediaset. Poi siamo richiesti in tanti eventi privati (tra tutti, matrimoni e funerali!). Suoniamo spesso per l’ambasciata del Regno Unito per occasioni formali e informali, abbiamo partecipato a feste di paese, marciando nei vicoli.Per non dimenticare i festival celtici tra tutti “Montelago” nelle Marche, “Abruzzo Irish Festival” nel teramano e “Fairylands” di Guidonia, dove ho avuto l’occasione di cantare: “It’s a Long Way to the Top” e “Skye Boat Song” durante uno spettacolo più strutturato del solito, con altri strumenti elettrici e ballerine.
Tra gli eventi a cui Isabella prender parte con la band c’è anche il Six Nations, il torneo di rugby più antico al mondo e ogni due anni, quando gli Azzurri ospitano il XV del Cardo il gruppo si esibisce suonando l’inno nazionale scozzese che è “Flower of Scotland”, un brano struggente che sa sempre dare tante emozioni. «Sì, “Flower of Scotland” è un brano dalla melodia semplice ma molto sentito dagli scozzesi. Viene considerato da molti l’inno nazionale non ufficiale della Scozia, insieme a “Scotland the Brave”. Il brano si riferisce alla vittoria degli scozzesi, guidati da Robert the Bruce, nella battaglia di Bannockburn nel 1314, ed il flower of Scotland è il cardo, fiore simbolo del paese».
Un’esperienza quella maturata da Isabella con i brani della tradizione, riti ed usanze che si rispecchiano in tanti aspetti che vanno dal repertorio al vestiario tipico. «La nostra afferma – è una tradizionale banda scozzese e salvo casi particolari, il nostro repertorio è composto da marce militari, arie lente e brani più veloci e ballabili come gli strathspey e le jig. La melodia viene suonata dalle cornamuse all’unisono, con alcuni musicisti che suonano i controcanti, e la ritmica è portata avanti dai tre tipi di tamburi esistenti in banda, ognuno con il proprio timbro: il rullante da marcia, il tamburo tenore e la grancassa. Il vestiario è tradizionale ed è composto da un’uniforme con camicia, gilet, giacca e cappello militare. Sia gli uomini che le donne in banda indossano il kilt, come ogni banda musicale scozzese. Il nostro tartan, il disegno a scacchi, è originale e depositato presso il Registro Nazionale Scozzese dei Tartan, quindi significa che è proprio della nostra banda, tendente al blu, per un richiamo ai colori nazionali. Il tutto si conclude con lo sporran, il borsello da tenere sul davanti, cinta, calzettoni e scarpe rinforzate con inserto metallico. I brani vengono eseguiti o da fermi, in cerchio o semicerchio, o marciando: in quel caso c’è una formazione fissa da rispettare, che segue alcuni precisi canoni musicali e organizzativi».
Isabella non è, fortunatamente l’unica donna del gruppo, le chiediamo quindi cosa consiglierebbe ad una ragazza che volesse avvicinarsi allo studio della cornamusa, «Nel panorama italiano e internazionale, statisticamente, le donne piper sono poche (anche se in crescita rispetto il passato). La mia impressione è che ci sia sempre stata un’idea un po’ distorta. La cornamusa è uno strumento maschile? Forse perché molto fisico? Perché necessita molta forza? O perché, come per tante cose, una donna che suona la cornamusa non esalta le proprie caratteristiche femminili come la delicatezza o l’eleganza? L’associazione strumento musicale – genere è legato esclusivamente a convenzioni/convinzioni sociali e costumi. La cornamusa è uno strumento musicale al quale tutti possono avvicinarsi. Sicuramente – sottolinea – parliamo di un oggetto un po’ complicato da gestire e manutenere, ma nulla di più. Consiglierei quindi alle ragazze interessate di mettere da parte ogni tipo di paura o preconcetto, ma solo armarsi di tanta pazienza, dedizione e tempo. Così come è necessario fare per chitarra, violino o pianoforte».
La nostra ospite vive da anni a Roma ma il rapporto con la città natia è ancora forte e legato a tante idee e progetti futuri, «Sì, torno spesso visto che qui a Lanciano ci sono la mia famiglia e i miei amici di sempre. Mi piace portarmi la cornamusa e suonare soprattutto in montagna. A Natale ho improvvisato dei brani in centro e tante persone si sono avvicinate incuriosite. Ma quello che vorrei davvero è suonare con tutta la banda, in piazza Plebiscito, come la divisione dei canadesi Seaforth Highlanders appena dopo la Battaglia di Ortona e la liberazione delle nostre terre. Conservo con gelosia un’immagine, pubblicata su un gruppo facebook dedicato alla storia di Lanciano, della banda di cornamuse dei canadesi a piazza Plebiscito nel 1944. Vorrei riportare il suono delle cornamuse e dei tamburi scozzesi tra le mura di Lanciano, davanti la basilica e la torre del Campanile, dopo quasi 80 anni».
Tra i progetti futuri c’è il suonare, suonare, suonare! Al di là di questo, mi piacerebbe molto fondare un’associazione che promuova la cultura e la musica dei popoli celtici, collaborando con realtà già consolidate sul territorio (come ad esempio le scuole di danze irlandesi Rois e Gens d’Ys) e i più validi artisti del panorama irlandese e scozzese in Italia. In tutti questi anni, ho avuto il piacere e l’onore di conoscere persone di gran spessore e valore, sarebbe quindi estremamente bello convogliare queste energie in un progetto ad ampio respiro, dove chiunque sia interessato possa attingere da un grande contenitore. Arrivare alle scuole, coinvolgendo i ragazzi con progetti culturali e soprattutto musicali “alternativi”, come si fa all’estero (a scuola si può trovare addirittura il corso di cornamusa e di tamburo irlandese!) sarebbe davvero bellissimo. Chissà, magari proprio in Abruzzo».