Potrebbe avere risvolti giudiziari la morte di Juan Carrito, l’orso marsicano investito da un’auto a Castel di Sangro il 23 gennaio. Un esposto alla Procura di Sulmona è stato presentato da Dino Rossi, coordinatore regionale dell’Associazione per la cultura rurale, perché «sono stati spesi milioni di euro per la tutela di questo prezioso animale da 100 anni a questa parte e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, tanto sperpero di danaro pubblico con esiti negativi», scrive in una nota il responsabile del sodalizio. Juan Carrito aveva quattro anni ed era divenuto il simbolo del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
«Il fatto che l’orso non sia andato in letargo – sostiene Rossi – probabilmente è legato alla mancanza di cibo causata dal sovrannumero di cinghiali, antagonisti alimentari del plantigrado, e ciò in connessione alla mancata gestione della eccessiva proliferazione di altri selvatici all’interno del nostro più antico parco d’Abruzzo e delle altre numerosissime aree protette. Basti pensare che i nostri parchi non collaborano affatto con gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC), in quanto non effettuano nel loro interno censimenti periodici degli animali, cinghiali, cervi caprioli, lupi e nemmeno vogliono che altri enti si interessino al conteggio degli animali presenti sul loro territorio».
«Sotto tale profilo, anche le Istituzioni non hanno certo brillato: si è pensato solo a come accedere ai fondi comunitari, allargando le aree Protette, con la creazione delle cosiddette zone Patom (piano d’azione per la tutela dell’orso marsicano, n.d.r.), istituite seguendo pedissequamente lo spostamento degli orsi in Abruzzo, ma nessuno si è preoccupato di capire quali fossero i motivi che hanno spinto questi animali al di fuori dei 50 mila km quadrati del Parco nazionale d’Abruzzo e Molise, ove, nonostante i notevoli sacrifici richiesti agli abitanti di tali zone, la popolazione di orsi non si è mai veramente accresciuta, anzi sono fuggiti da queste aree pseudo protette. È più che evidente che i finanziamenti non sono stati utilmente adibiti al mantenimento degli orsi nelle zone più specificamente vocate ad ospitarli, altrimenti non si sarebbero verificati tanti incidenti al di fuori di esse, e la cosa solleva molti dubbi».
Secondo il presidente dell’Associazione cultura rurale, «il territorio è stato emarginato, poiché ha preso il sopravvento una visione ideologizzata ed estremista della gestione del territorio agro-silvopastorale, per la quale tutto è vietato, senza nulla proporsi per la sopravvivenza di quella vivificante cultura rurale, che ormai sta definitivamente scomparendo nella nostra regione. Si può affermare, tornando al tema iniziale, che i mezzi per diminuire il rischio di incidenti causati dalla fauna selvatica non solo esistono ma sono efficacemente adottati in altri paesi comunitari, ove le cose funzionano diversamente, come, ad esempio, in Romania, dove gli automobilisti vengono avvisati del pericolo tramite sms (precauzioni che in Italia vengono disattese) e addirittura vengono creati degli appositi passaggi per la selvaggina, cosa che in Italia è solo un miraggio».