Quando le voci si spengono, gli occhi si chiudono e le testimonianze dirette dei protagonisti vengono a mancare tocca a chi resta, tramandare e tenera viva la memoria alimentandola come una fiamma che imperitura sfida gli anni, il logorio del tempo e soprattutto i tentativi di minimizzare o addirittura negare. Settantasette anni dopo, il piccolo Tito, ultimogenito della famiglia Grauer, non c’è più, come non ci sono più i suoi genitori e il suo fratello maggiore: vite scomparse ma, fortunatamente, non cancellate dal grande libro della storia che tra le sue infinite pagine ha conservato qualche riga per raccontare la vicenda di un bambino che a Lanciano aveva trovato la sua casa. Ma per raccontare questa storia, ambientata negli anni più bui della recente storia europea, partiamo dalla fine e precisamente dal 16 gennaio 2019, quando in un’assolata mattina invernale in largo San Giovanni nel quartiere Lancianovecchia, l’artista tedesco Gunter Demnig, su iniziativa dell’allora amministrazione Pupillo, installò quattro pietre d’inciampo con i nomi della famiglia Grauer.
Demnig è l’ideatore del progetto delle pietre d’inciampo nate per creare nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria dei cittadini deportati, incorporando, nel selciato stradale, dei blocchi in pietra ricoperti da una piccola targa d’ottone, davanti alla porta della casa in cui abitarono o furono fatti prigionieri, sulla quale sono incisi il nome, l’anno di nascita, la data, l’eventuale luogo di deportazione e la data di morte: Dal 1992 ad oggi sono state depositate più di settantacinquemila pietre. Una pietra dunque da calpestare ma non senza riflettere, che ci spinge a ricordare le assurde violenze fisiche e psichiche, le torture e le deportazioni a cui gli ebrei (ma non solo) italiani ed europei furono costretti a causa di un regime quello nazista, che aveva fatto nell’idea di una razza ariana e superiore un motivo ritenuto più che valido per perpetrare un autentico sterminio diventato presto genocidio. Il piccolo Tito Grauer era nato a Lanciano nel 1942 da Samuel Grauer, polacco, e Rosa Jordan. Il padre falegname ebreo, risiedeva a Trieste (dove nacque il primogenito dei Grauer, Marco) ma i tempi non erano sicuri per vivere in una città vicina al confine. Così la famiglia si era spostata al sud e precisamente a Lanciano.
La pace e la serenità durarono però poco perché già nel novembre del 1943 Samuel Grauer con la moglie Rosa, il primogenito Marco di tre anni, e Tito, furono arrestati a causa delle Leggi Razziali. Da quel giorno iniziò il loro calvario con la detenzione tra Chieti, L’Aquila, e Bagno a Ripoli in provincia di Firenze per arrivare poi a Milano. Nella città meneghina il 30 gennaio 1944 furono messi su un convoglio ferroviario del tristemente famoso binario 21 e il 6 febbraio giunsero nel campo di stermino di Auschwitz. I due fratellini furono uccisi lo stesso giorno in una camera a gas: Marco avrebbe compiuto quattro anni dopo due giorni, mentre Tito ne aveva appena due. Di lì a poco tempo dopo trovarono la morte anche i loro genitori.
Il Vangelo riporta il Salmo 118 dove nella parabola del vignaiolo si legge: “La pietra rifiutata dai costruttori è diventata la pietra principale e pietra angolare”. Per pietra angolare, o testata d’angolo si intende la prima pietra utilizzata nella costruzione di un edificio. È la pietra più importante ed è, idealmente, quella che sorregge tutta la costruzione così come la memoria degli uomini e delle donne oppressi e decimati dalla guerra diviene ispirazione per l’architettura della storia umana, e per la costruzione di un futuro dove ogni tanto, anche se solo una volta l’anno è bene girarsi indietro. Per non dimenticare quelle esistenze violate e “calpestate”.