«Un abominio». Così i familiari delle vittime del sisma de L’Aquila, nel quale nel 2009 persero la vita 306 persone, definiscono la sentenza emanata dal giudice Monica Croci del Tribunale civile del capoluogo. Una sentenza arrivata a margine della richiesta di risarcimento per le 24 vittime del crollo di uno stabile in via Campo di Fossa, richiesta che il Tribunale ha accettato, quantificando però al 30% la corresponsabilità di alcune delle vittime, ritenute «imprudenti a non uscire di casa».
Per rispondere alla sentenza shock, i familiari delle vittime del terremoto del 6 aprile, le associazioni di familiari delle vittime di Amatrice, Rigopiano, Ponte Morandi e tante altre, comitati, rappresentanti dello sport e di tutti gli schieramenti politici, insieme a tanti semplici cittadini, aquilani e non, si sono ritrovati questa mattina davanti al colonnato di Palazzo dell’Emiciclo, per un sit-in di protesta.
Una manifestazione che è un grido di dolore dei parenti delle vittime che, come afferma Lilli Centofanti, sorella dell’universitario vastese Davide una delle vittime del crollo della casa dello studente, non hanno «sete di vendetta, ma fame di giustizia». «Di per sé – ha sottolineato la Centofanti – già negoziare il costo di una vita umana in termini di percentuali è un abominio, ancor di più in questa sentenza. Oggi siamo a manifestare non perché abbiamo sete di vendetta, ma fame di giustizia. Condannare le vittime per essere rimaste a casa propria è assurdo, perché in casa si vive, non si muore».
Una sentenza impossibile da accettare, come testimoniano anche gli interventi di Vincenzo Vittorini, che nel sisma del 2009 ha perso moglie e figlia. «Per tutti noi – ha dichiarato Vittorini al microfono del quotidiano il Capoluogo – questa sentenza rappresenta un abominio: da una parte si assolvono, ad esempio, i membri della Commissione Grandi Rischi e dall’altro si condannano le vittime. Abbiamo raggiunto un livello di inciviltà mai visto prima. Spero che L’Aquila oggi risponda in maniera ferma; sono presenti i rappresentanti di tutte le altre stragi, perché purtroppo questa nostra penisola è tappezzata da nord a sud da tragedie in cui la mano dell’uomo è preponderante. L’Aquila doveva essere simbolo di un qualcosa di diverso, simbolo di memoria, simbolo di verità e giustizia, bisogna lottare affinché le cose cambino». A partecipare alla manifestazione, anche la lancianese Valeria Esposito, intervistata da Le Iene nei giorni scorsi, superstite del terremoto del 6 aprile, e coinquilina della meno fortunata Ilaria Rambaldi che, proprio a causa del sisma, perse la vita insieme al fidanzato Paolo.
Ad emergere dai numerosi interventi, la rabbia e la ferma intenzione di non diventare “nuovamente vittime sacrificali” di un sistema «rappresentato da una sentenza che condanna le vittime, a fronte delle continue e pubbliche rassicurazioni delle istituzioni».