È stato un momento emozionante quello vissuto ieri, nella sala d’onore della Prefettura di Chieti, da Luciano Cicchitti, nipote di Giovanni La Palombara, insignito della Medaglia d’onore alla memoria come Internato Militare Italiano. Quella degli Internati Militari Italiani (IMI) è una delle vicende della seconda guerra mondiale ancora oggi poco conosciute. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, le truppe tedesche catturarono un milione di soldati italiani, ormai divenuti nemici. Tra chi riuscì a fuggire e chi scelse di passare dall’altra parte, ne restarono settecentomila, che vennero inviati nel nord ed est Europa in campi di internamento, dove dovettero subire condizioni durissime.
Giovanni La Palombara, nato a Vasto nel 1915, era un carabiniere 28enne che combatteva in Albania quando venne catturato, a Tirana, cinque giorni dopo quel fatico 8 settembre. Per due anni fu prigioniero in Germania, rifiutando di passare tra le fila tedesche, fino a quando non ci fu la liberazione che permise a lui e tanti altri soldati di far rientro nella propria terra. Le vicende degli internati sono rimaste relegate per lo più ai racconti familiari fino a quando, con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, è stata concessa l’attribuzione di una medaglia d’onore agli IMI o, in memoria, ai loro familiari, per rendere testimonianza del sacrificio patito in quegli anni drammatici. Lo scorso settembre, per iniziativa dell’Anmi di Vasto, in occasioni delle celebrazioni per la Festa della Marina, il generale Massimiliano Del Casale e il generale Luigi Bacceli avevano tenuto una conferenza ripercorrendo la storia degli internati militari riaccendendo una luce su quelle vicende.
E così, ieri, alla presenza dei vertici regionali dell’Arma dei carabinieri, del Prefetto di Chieti Armando Forgione e del sindaco di Vasto Francesco Menna, è stata consegnata la medaglia d’onore alla memoria di Giovanni La Palombara, scomparso nel 2005 a 90 anni. «Caro nonno Giovanni, vorrei conservare la tua timidezza, riservatezza ed umiltà che hai sempre mostrato nei confronti di quei ricordi tristi (e non solo) della tua esperienza da prigioniero ed internato militare – scrive il nipote Luciano Cicchitti dopo aver ricevuto la medaglia -. Ma oggi, a conclusione di un percorso fatto di ricerche, riflessioni e studi voglio offrire al mondo la conoscenza del tuo passato non solo come monito – che oggi più che mai sarebbe utile viste le vicende del nuovo fronte russo – ma anche come momento di tenerezza.
Dopo aver ascoltato lo scorso settembre l’amico Gen. Bacceli descrivere perfettamente con le sue parole le condizioni in cui hai vissuto la tua prigionia e soprattutto quelle del tuo rientro in Patria, il mio pensiero è volato in un istante ad un episodio tenero e ricco di emozioni. Era un giorno caldo di luglio ed io, prima di ripartire alla volta della Scuola Allievi Carabinieri di Benevento, finita la licenza dopo il giuramento, venni a salutarti in divisa. Eri il solito omone intento a leggere qualsiasi tipo di quotidiano, ma il tuo volto, in un attimo, si è trasformato dando lucidità ai tuoi occhi e si è rilassato in una espressione di fierezza ed orgoglio. Il saluto si è concluso in un abbraccio pieno di ogni tuo sentimento represso: nostalgia, paura, rabbia, orgoglio, rassegnazione. Li ho sentiti tutti senza aver ascoltato una sola tua parola, e solo oggi, dopo aver studiato il contesto storico, ho potuto comprendere il perché del tuo silenzio sulla tua triste esperienza. Ma oggi è un piccolo giorno di festa che rende onore a te e a tutti quelli che come te non hanno esitato a vivere con la paura dell’estremo sacrificio piuttosto che accettare le ingiuste condizioni dell’esercito straniero. In quella piccola medaglia di bronzo è racchiusa tutta la tua esistenza. Chi vive nei ricordi di chi resta, non muore mai. Allora, da oggi, tu continuerai a vivere e…. ad insegnare».