Mario Giancristofaro: «Le mie nozze d’oro con il giornalismo»

Una vita vissuta in simbiosi con Lanciano, raccontando personaggi, eventi e fatti della sua città di cui conosce ogni minimo particolare. Cinquant’anni di iscrizione all’Ordine dei Giornalisti sono tanti ma non per Mario Giancristofaro che oggi, 15 giugno 2022, sì li festeggia, ma con la stessa voglia di fare di allora.

«Ho sempre avuto la passione per il giornalismo perché mia madre era una grande lettrice di giornali – racconta Mario in occasione delle sue nozze d’oro con la professione -. Era una umile tabacchina, ma una copia del Messaggero, talvolta tutta nascosta e ripiegata per sfuggire dai pregiudizi di allora, nella sua borsa non mancava mai». Ed è nel Messaggero che Mario, complice il prof Emiliano Giancristofaro, inizia a scrivere nel 1968, proprio in occasione della rivolta delle tabacchine di Lanciano.

Il “fuorisacco” del Messaggero ed il tesserino dell’Ordine dei Giornalisti di Mario Giancristofaro

Tanti sono gli aspetti cambiati da allora nel mondo del giornalismo ma Mario ha saputo cavalcare l’onda dell’innovazione partendo dal mitico fuorisacco, per arrivare alle più moderne mailing list. «Oggi basta un click e siamo collegati col mondo, quando ho iniziato non era affatto così. Per tutte quelle notizie che oggi diremmo che non scadono, c’era il fuorisacco. – ricorda – Si imbustava la notizia appunto nel fuorisacco, si portava nell’ufficio postale e lì, tramite un canale privilegiato, arrivava il giorno dopo direttamente nella redazione di Roma. Sembra fantascienza oggi, vero? Eppure si lavorava così». Discorso diverso, e forse più complicato, per tutte quelle notizie di cronaca che necessitavano di velocità. «Per quelle c’era il telefono. Si chiamava lo stenografo del giornale che trascriveva il pezzo che poi sarebbe andato in stampa il giorno successivo. Le foto? Una tragedia – ricorda -. Era necessario avere le conoscenze giuste ed un fotografo di fiducia, come io avevo prima Dante e poi Febo Pallini, da portare con me quando serviva un reportage». Dopo degli stenografi sono poi arrivati i dimafoni attraverso cui, dalla redazione, venivano letteralmente registrate le notizie e poi successivamente, e con calma, trascritte. Un lunga trafila, prima di arrivare ai più moderni fax e in ultimo ai computer e internet. «Era senz’altro più complicato questo lavoro perché ti obbligava alla continua ricerca, ad uscire in strada, a tessere relazioni di ogni genere e, come si direbbe in gergo, a stare sempre sul pezzo in prima persona. I social network da cui attingere le notizie? Sono stati la rovina di questo lavoro. – prosegue il suo racconto – Troppa velocità e poca pronfondità».

«Prima il giornalista creava molto di più, era più portato ad andare alla ricerca di storie e problematiche del territorio»

Cambiamenti significativi anche per le fonti e per i comunicati stampa. «Oltre alle fonti ufficiali quali politici, amministratori e forze dell’ordine, era fondamentale avere degli informatori in ogni quartiere che potessero essere il nostro orecchio dove noi, per ovvie ragioni, non potevamo arrivare. Uno dei miei informatori più fidati era Nicola Marino, un attento artigiano che lavorava tra la Sacca e Civitanova. – racconta Mario a Chiaro Quotidiano – Oggi, dopo tanti anni, ho avuto modo di conoscere per caso la figlia che ricorda ancora come allora, quando c’era qualcosa di eclatante, il padre subito esclamava: “ora lo dico a Mario Giancristofaro, così va sul Messaggero e vediamo se cambia qualcosa“. Sembra divertente parlarne oggi, ma l’ascolto allora era fondamentale». E se oggi le caselle mail dei giornalisti sono inondate da comunicati stampa più o meno interessanti, prima non era proprio così. «La mia mail era Rita Sacripante (storica edicolante di corso Trento e Trieste venuta a mancare qualche anno fa, ndr). Da lei c’era un scatola in cui quelli che oggi chiameremmo i portatori d’interesse lasciavano i loro comunicati, Rita chiamava me e i miei colleghi di allora, come il mio dirimpettaio nella redazione de Il Tempo, Saverio Sala, e passavamo a ritirare le nostre buste con le notizie del giorno».

Mario Giancristofaro

E tante sono state le battaglie portate avanti da Mario proprio dalle pagine del Messaggero, a partire da quella per l’apertura del reparto di Rianimazione all’ospedale “Renzetti”. «Per mesi e mesi ho scritto ogni giorno, in modo martellante, di quanto sarebbe stata utile la Rianimazione qui a Lanciano. – racconta ancora – Ho raccolto testimonianze di medici e primari che erano dalla mia e alla fine, anche grazie a me, posso dirlo, l’inaugurazione di quel reparto c’è stata. Che soddisfazione!». Così come tanta è stata la soddisfazione all’apertura dello stabilimento Sevel di Atessa alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini e Gianni Agnelli, in sala stampa fianco a fianco con Enzo Biagi o nella visita alla Magneti Marelli a Vasto di Papa Giovanni Paolo II. Ma nulla è stato emozionante come quel 4 settembre 2016, quando Mario ha indossato i panni del Mastrogiurato e recitato davanti a tutta la città la formula che dà simbolicamente inizio alle fiere cittadine. «Doppia emozione in quell’occasione. – racconta – Prima per l’investitura in sé e poi per la chiamata del caporedattore che mi chiedeva di scrivere un articolo, in prima persona, per raccontare le mie impressioni. Quello è senz’altro tra gli articoli a cui sono più legato».

«Per fare il giornalista servono piedi buoni, cuore e in ultimo il cervello»

Una vita fatta di racconti, a volte di articoli che avrebbe preferito non scrivere, come quello per la prematura morte del vice sindaco Pino Valente o di grandi imprese come la serie B raggiunta dalla Virtus Lanciano o dei primi passi dei corsi musicali estivi «mai davvero valorizzati come avrebbero meritato».

«Oggi il giornalismo è cambiato, l’offerta è aumentata e quando l’offerta aumenta, spesso accade che la qualità si abbassi. – dice con un pizzico di malinconia – Prima il giornalista creava molto di più, era più portato ad andare alla ricerca di storie e problematiche del territorio. Oggi mancano i tempi e, in alcuni casi, anche la voglia». Mario però, anche dopo 50 anni, resta sempre quel giornalista che ha iniziato nel Messaggero mettendoci innanzitutto i piedi buoni «per andare alla ricerca delle notizie», poi il cuore «per entrare nelle storie e appassionarsi a questo mestiere» ed infine, solo infine, il cervello «per mettere nero su bianco la notizia».

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