Vincere un World Press Photo senza perdere l’umiltà, da Teheran all’Ucraina, il racconto di Pietro Masturzo

Vincere un World Press Photo è roba per pochi. Vincerlo a 29 anni è per pochissimi. Vincerlo a 29 anni, iniziare poi una brillante carriera come fotografo documentarista e restare con i piedi per terra, è più unico che raro. Tutto questo è Pietro Masturzo, il giovane fotografo napoletano, ospite ieri sera di Immagina, la rassegna di fotografia organizzata dall’associazione Social Photography Street e di cui Chiaro Quotidiano è media partner.

Una serata per parlare di fotografia, di come un World Press Photo cambi radicalmente la vita, ma soprattutto di come a cambiare la vita siano quei viaggi che si fanno zaino in spalla e macchinetta tra le mani per cogliere quella «resistenza che vien fuori in ogni conflitto nel mondo».

Una resistenza per certi versi simile, da Teheran, dove a resistere sono le donne, di notte, sui tetti, proprio come nella sua foto più famosa, a Odessa, dove però quella resistenza si fa più «culturale».

«Parto perché voglio esserci, perché voglio vedere – e scattare – con i miei occhi. – ha detto Masturzo ad un incalzante Maurizio Garofalo, come sempre, mattatore della serata e creatore di mille spunti – Voglio essere sul posto perché voglio togliermi tutti quei dubbi che ogni situazione conflittuale porta con sé. Non sempre ci si riesce, ma dall’Iran, alla Palestina, fino all’Ucraina ho avuto l’opportunità di guardare il mondo da tante angolazioni diverse e da dietro un obiettivo è sempre un privilegio».

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