Vastese di nascita, cantautore, membro e fondatore dei Massimo Volume e dei Santo Niente, per i cultori del rock italiano, e non solo, Umberto Palazzo non ha di certo bisogno di presentazioni. Durante un “Venerdì SantoNiente” abbiamo provato a ripercorrere insieme a lui i suoi 40 anni di vita in musica: da Vasto, dove da adolescente ha fondato gli AUT AUT, il suo primo gruppo, passando per gli anni con i Massimo Volume, «una band che ha fatto la storia del rock italiano», e i Santo Niente, fino al ritorno alle origini con l’esperienza cantautoriale da solista. Esperienza che, negli ultimi due anni, si è arricchita con due nuovi dischi: “L’Eden dei Lunatici”, uscito nel 2020, e “Belvedere Orientale”, il suo ultimo lavoro disponibile in digitale da sabato 16 aprile.
«Avevo iniziato a “suonicchiare” a Vasto – racconta Umberto Palazzo – ma è stata una vacanza a Bristol, in Inghilterra, a permettermi di schiarirmi le idee in fatto di musica e di capire cosa volevo fare. Ero andato a trovare i miei zii che vivevano lì, e ho trascorso una vacanza “da ragazzacci” insieme a mio cugino. I miei zii lavoravano e noi abbiamo avuto modo di frequentare i posti del rock e del punk a piede libero ed è stata un’esperienza molto formativa e fondamentale per la mia musica. Appena sono tornato a Vasto ho messo su una band, gli AUT AUT, attiva dall’autunno del 1981. Suonavamo post-punk di matrice inglese di ispirazione Joy Division, Siouxsie and the Banshees e Killing Joke, musica di quarant’anni fa, insomma. Poi ho iniziato a produrre brani miei, anche grazie a mio padre che mi ha comprato un multitraccia, e ho iniziato a registrare delle demo. Quando (intorno alla metà degli anni ’80, ndr) mi sono trasferito a Bologna per frequentare l’università, avere delle demo già pronte mi ha permesso di inserirmi più facilmente nella scena musicale cittadina. Lì ho iniziato a suonare con dei ragazzi di Bologna ma soprattutto con gli Allison Run, una band di Brindisi guidata da Amerigo Verardi, è stata un’esperienza molto importante. Nel 1990 gli Allison si sono sciolti, e sono nati i Massimo Volume: il gruppo è storia del rock italiano. Dopo tre anni, le nostre strade si sono divise e, insieme al batterista vastese Cristiano Marcelli e a due ragazzi della provincia di Lecce, ho fondato una nuova band che si chiamava Santo Niente. Abbiamo inciso per il Consorzio produttori indipendenti (CPI), un’etichetta di Firenze, poi sono tornato in Abruzzo, a Pescara, dove ho inciso altri due dischi del Santo Niente e, dopo diverse vicende, ho deciso di riniziare a produrre dischi da solista».
Un viaggio la cui ultima tappa, almeno per adesso, è Belvedere Orientale, un disco che profuma di casa, di infanzia, di ricordi e che è un po’ il “sequel” dell’album “L’Eden dei Lunatici”, composto da Palazzo nel 2020 in piena pandemia da Covid-19. «È un album – spiega – scritto con le stesse modalità de “L’Eden dei Lunatici”, sono due dischi figli dello stesso periodo, della stessa idea e, probabilmente, lo sarà anche il prossimo che ho già scritto e che andrà a comporre una sorta di trilogia». La differenza tra i tre album è, più che altro, stilistica: «il “terzo” disco, sarà un po’ più folk e si baserà molto su atmosfere prettamente cantautoriali, mentre negli altri due album c’è una prevalenza di canzoni più ritmate, è una vera e propria ricerca sulle ritmiche tipiche degli anni ’70 e ’80». Questi ultimi lavori, aggiunge Palazzo, «segnano un completo ribaltamento rispetto a quello che facevo nei primi anni di carriera, un percorso parallelo a quello che ho fatto dagli anni ’80 fino ad oggi. Negli anni ’80 la strada era quella più alternativa e oscura: punk e post-punk, David Bowie, la new wave, l’alternative anni ’80 e ’90, il noise. Una decina di anni fa avevo già smesso con questo genere e avevo pubblicato il mio primo disco solista “Canzoni della notte e della controra”, che era ispirato alla musica italiana pre-rock con canzoni basate su un immaginario di musica televisiva prima dell’avvento del rock. Negli ultimi anni, invece, ho provato a far rivivere la musica che ascoltavo insieme al punk quando ero ragazzo: il pop italiano, la musica dei grandi cantautori. Ho sempre ascoltato Lucio Battisti, anche quando vivevo le culture punk e metal, ed è una cosa di cui non ho mai fatto mistero. Ho deciso di suonare quegli stilemi, quelle atmosfere e anche di fare un viaggio alla ricerca del tempo perduto».
«Quello che posso fare è portare in giro le mie canzoni e cercare di farle vivere nel contatto con la gente»
Atmosfere che si ritrovano nei testi delle canzoni di Umberto Palazzo che, afferma, «sono una componente fondamentale della mia musica. Credo, e spero, che la parte letteraria sia il mio forte, ho sempre creduto nell’importanza dei testi. Quelli degli ultimi album sono calati nella realtà degli anni ’70 e ’80, di quando avevo tra i 16 e i 22 anni, con dei riferimenti culturali che c’erano in quel momento e con i miei sentimenti dell’epoca. Avendo trascorso gli anni dell’adolescenza in Abruzzo, anche l’ambientazione dei pezzi è prettamente quella della riviera adriatica. È un continuo andare avanti e indietro tra quello che sono adesso e quello che ero allora, c’è questo dialogo costante tra il mio io adolescente e post-adolescente e il mio io attuale. Spesso nelle canzoni mi sdoppio, parlo un po’ con la voce del ragazzo e un po’ con quella dell’uomo maturo». E sulla scena musicale attuale sostiene: «C’è una totale “poppizzazione” di tutto, la musica alternativa è praticamente scomparsa, ma è normale perché viviamo in una società diversa: c’è Internet, ci sono i social, i dischi non si vendono più, e la musica è un qualcosa di concepito come gratis, con modalità di fruizione che hanno stravolto tutte le abitudini. Adesso non c’è più il consumo del disco ed è anche giusto che sia così, è una situazione che riflette i tempi in cui viviamo e che non si può cambiare. Quello che posso fare, nel mio piccolo, è portare in giro le mie canzoni e cercare di farle vivere nel contatto con la gente».
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