Oltre tremila chilometri in due giorni per garantire le cure a tre bambini ucraini

«Ripartirei subito, anche domani». A dircelo sono stati Micaela Capone, dottoressa rianimatrice dell’ospedale di Lanciano ed Antonio Moretti, autista 118, tornati qualche giorno fa dalla missione della Croce Gialla in collaborazione con l’associazione Mani Unite, per portare in salvo, dall’Ucraina, in Italia, bambini malati e bisognosi di cure. Il convoglio di tre ambulanze è partito sabato mattina della scorsa settimana per raggiungere Zàhony, città ungherese a soli 4 chilometri dal confine ucraino, nella serata di domenica. «Non avevo mai fatto un viaggio del genere – dice la dottoressa Capone – ma appena mi è stato proposto di andare, complice il supporto della mia famiglia, nonostante lo scarso preavviso (solo 12 ore, ndr), non ho esitato un attimo. Il tempo di cambiare i turni in ospedale, preparare uno zaino e via».

Sebbene non siano arrivati nel territorio ucraino, rimanendo quindi in un luogo piuttosto sicuro, la loro è una di quelle esperienze difficili da dimenticare. Tre i bambini trasportati a Roma, al Fatebenefratelli ed al Bambin Gesù, di 3 e 6 mesi e di 8 anni, con gravi patologie. «Nell’ambulanza con noi abbiamo ospitato la bimba di 8 mesi con la sua mamma, di appena 24 anni. – racconta la Capone – La ragazza era visibilmente provata e spaventata e con l’aiuto di Google translate le ho chiesto se volesse chiamare i familiari. Mi ha subito detto di sì ma, a parte questo sono sincera, non sono riuscita a chiederle altro. Mi sembrava già troppo quello che stava affrontando, sola, con una bimba così piccola da accudire e curare». Le mamme sono arrivate scortate da ambulanze e da un paio di auto, ma con loro non avevano nulla. Pochi i vestiti, poche le tutine per i neonati e pochi i pannolini. Un vero e proprio viaggio della speranza, insomma, quello di famiglie spaccate a metà con i papà prigionieri nei confini ucraini e le mamme, armate di coraggio, fuori da quegli stessi confini, per dare una chance ai loro piccoli.

«È stata un’esperienza dura perché un viaggio di circa 3400 chilometri, per di più in ambulanza, è sfiancante. – dice ancora la dottoressa – Ma la gioia di fare, seppur in piccolo, del bene, è talmente grande che riempie il cuore e fa passare in secondo piano la fatica. E poi i miei angeli custodi sono stati i miei due autisti, rispetto a loro io ho fatto ben poco».

«Quello che abbiamo fatto noi è stata solo una goccia nel mare».

Ed è proprio Antonio Moretti, autista 118 da 23 anni e dipendente della Croce Gialla, a raccontarci anche le sue impressioni. «Questo è stato il mio primo viaggio umanitario. La stanchezza c’è stata, – confessa – ma ripartirei anche domani». Due notti senza dormire, dandosi il cambio alla guida con il collega Gianni Camiscia, non sono state uno scherzo, ma potersi rendere utili è stata l’altra faccia della medaglia, quella più bella. «Approfittando delle ambulanze vuote, all’andata, abbiamo portato anche materiale medico da lasciare ai nostri colleghi ucraini. – racconta Moretti – E quando sono arrivati i sanitari nelle ambulanze con i bimbi che sarebbero poi venuti con noi, alla vista di ciò che avevamo deciso di donare loro, si sono commossi. Davvero lì non hanno più niente e diventa difficile curare i malati. È stato un momento di grande impatto emotivo».

La stanchezza, la paura ed il disagio negli occhi delle mamme erano palesi e «quello che abbiamo fatto noi è stata una goccia nel mare», rimarca la dottoressa Capone mentre dice che in Italia ne avrebbe voluti portare molti di più. «Aiutare il prossimo è la cosa più bella. – conclude Antonio Moretti – Noi della Croce Gialla ci siamo subito messi a disposizione in questa importante missione e se dovesse servire ancora il nostro aiuto beh, noi siamo già pronti a ripartire. C’è ancora troppo da fare».

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